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Questo articolo è stato pubblicato il 21 giugno 2011 alle ore 08:04.

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Le missioni internazionali, a cominciare da quella in Libia, non possono essere utilizzate nel "mercato" della politica interna perché su di esse si gioca la credibilità del nostro Paese all'estero. Nasce da qui la necessità di rispettare gli impegni presi come quello di restare «schierati in Libia».

uò riassumersi così il messaggio che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nella giornata mondiale del rifugiato, ha lanciato ieri alle forze politiche con destinataria la Lega Nord che domenica, a Pontida, aveva chiesto al premier, Silvio Berlusconi, di stabilire una data conclusiva per l'impegno in Libia come "unico modo per fermare lo sbarco dei clandestini".

Posizione, quella della Lega, che il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, ha ribadito e difeso energicamente anche ieri ricordando che il 30 giugno il Parlamento esaminerà il rinnovo dei finanziamenti alle missioni e, in quella sede, «vogliamo discutere laicamente – ha affermato Maroni – sui risultati di queste operazioni perché se non servono potremmo usare questi fondi per i poliziotti invece che darli ai militari all'estero».

Ci aveva provato, in verità, in mattinata, da Lussemburgo, il ministro degli Esteri, Franco Frattini, a scongiurare uno scontro Quirinale- Lega. Per il titolare della Farnesina «l'Italia sarà coerente all'impegno già assunto», quindi nessun «ritiro unilaterale». L'Italia, ha detto Frattini, agirà «in uno spirito di gradualità e coordinamento con gli alleati». Anche se, ha aggiunto, «non può continuare lo status quo a tempo indeterminato». Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, è stato più chiaro: «l'Italia è impegnata a fianco della Nato per altri tre mesi ma nessuno ci vieta di valutare cosa fare al termine dell'impegno».

Le parole di Napolitano da Roma non hanno però lasciato spazio alla Lega: «L'Italia - ha detto il Presidente della Repubblica – non poteva guardare con indifferenza o distacco agli avvenimenti in Libia, Paese a noi così vicino e col quale abbiamo nel tempo stabilito rapporti così intensi; non poteva rimanere inerte dinanzi all'appello del Consiglio di sicurezza perché si proteggesse una popolazione che chiede libertà, autonomia, giustizia, perché la si proteggesse dalla feroce repressione del regime del colonnello Gheddafi». Per questo «il nostro impegno, sancito dal Parlamento, è di restare schierati con le forze degli altri Paesi che hanno raccolto l'appello delle Nazioni Unite».

In un faccia a faccia con il leader del Pd, Pierluigi Bersani, il titolare del Viminale è stato più tagliente. «La Nato ha fondi per combattere Gheddafi ma non ci riesce: hanno finito i soldi dopo tre mesi? Dopo avere bombardato dappertutto? Il risultato è che noi abbiamo preso 18mila rifugiati sulle nostre coste. Per quanto tempo dobbiamo bombardare?».

Il 30 giugno il finanziamento delle missioni sarà all'esame del Parlamento e il 6 luglio Napolitano presiederà il Consiglio supremo di Difesa. Nel frattempo gli interrogativi della Lega si vanno a intersecare con le generali preoccupazioni sulle vittime civili dei raid Nato.

Dopo i bombardamenti su Tripoli di domenica, ieri i jet dell'Alleanza hanno colpito alcuni edifici a Sorman, a 70 Km da Tripoli, uccidendo 15 civili tra i quali tre bambini. «La Nato - ha detto Frattini – è alla prova della sua credibilità, non si può correre il rischio di uccidere i civili». E il viceministro della Lega Nord, Roberto Castelli, ha ricordato a Napolitano che «il Parlamento italiano ha preso l'impegno di difendere i civili inermi, non di ucciderli».

A contestare le tesi della Lega il segretario del Pd, Bersani secondo il quale «non è che se siamo a posto a Bergamo abbiamo risolto tutti i problemi..» e il capogruppo del Pd al Senato, Anna Finocchiaro, convinta che il destino della Libia e dei profughi non possano rientrare nel teatrino dei ricatti e degli sconti all'interno della maggioranza.

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