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Questo articolo è stato pubblicato il 23 giugno 2011 alle ore 06:38.

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ROMA
Se non fosse per quel tête a tête tra Silvio Berlusconi e Antonio Di Pietro, seduti l'uno vicino all'altro durante una pausa dei lavori, la giornata di ieri avrebbe riservato davvero poche sorprese. Il premier alla Camera ha ribadito l'intervento pronunciato il giorno prima al Senato, sia pure con un atteggiamento un po' più sostenuto e con una platea più calorosa sia nel manifestargli il plauso che il dissenso. Berlusconi parla anche stavolta per quaranta minuti. Ad ascoltarlo ci sono sui banchi Giulio Tremonti e Umberto Bossi, assenti a Palazzo Madama.
Il leader della Lega è accanto al Cavaliere, di tanto in batte la mano sul banco in segno di assenso, altre volte la porta alla bocca per nascondere lo sbadiglio. Ma quello che conta è il commento del Senatur subito dopo le dichiarazioni del premier: «Belle parole, adesso aspettiamo i fatti». Un'affermazione un po' forte, che fa il paio con quel «nulla è scontato» anticipato alla vigilia della verifica alla Camera. Il Senatur tiene il punto. Deve farlo.
Berlusconi gli ha concesso assai poco e nell'intervento di ieri non ci sono regali per il Carroccio né sulla Libia, né tantomeno sui ministeri. Il premier ribadisce l'imminente via libera alla manovra e alla riforma fiscale. Con Tremonti avrà un incontro poco dopo, presente anche Roberto Calderoli. Il ministro dell'Economia dopo aver dato il via libera ad anticipare i tempi della delega fiscale è intenzionato a non subire pressioni sulla manovra. I ministri sono già sul piede di guerra ma il Cavaliere sa che non può tirare troppo la corda. Il colloquio serale con il Capo dello Stato ha avuto per oggetto, oltre alla nomina di Draghi alla Bce, la manovra e il decreto sull'emergenza rifiuti a Napoli finora osteggiato dalla Lega. Anche Giorgio Napolitano – soddisfatto per il dibattito parlamentare «utile» a fare chiarezza – attende ora il premier alla prova dei fatti. Sui conti pubblici, in particolare, ribadisce la necessità di tenere i conti in ordine e raggiungere l'obiettivo del pareggio entro il 2014.
Berlusconi nel suo intervento è tornato sul nuovo fisco – il passaggio da 5 a 3 aliquote «più basse» e lo snellimento di «detrazioni e deduzioni» – spiegando che «darà vita a un sistema più equo e più benevolo verso chi è in condizioni disagiate, a partire dalle famiglie più numerose». Tutto secondo copione. Compresa la dichiarazione di eterna amicizia con Bossi, accompagnata dall'ironico coro «bacio, bacio» gridato dai banchi dell'opposizione, che si scaldano anche in occasione del passaggio in cui Berlusconi ripete di non voler fare il premier a vita. Così come l'appello per un confronto proficuo, lanciato soprattutto ai centristi con i quali, in nome della comune appartenenza al Ppe, auspica un riavvicinamento, che lo stesso premier ritiene però difficilmente realizzabile: «Non è sollecitando un suicidio che si può celebrare un matrimonio». Non manca ovviamente l'elencazione delle altre riforme: giustizia, architettura istituzionale e piano per il Sud.
Berlusconi conclude tra gli applausi della maggioranza e la standing ovation tributatagli dai banchi del Pdl al grido di «Silvio, Silvio». Il premier resta convinto che a questa maggioranza non c'è alternativa. Il voto di martedì sul dl sviluppo, che ha fatto registrare il ritorno alla maggioranza assoluta ne è la conferma. E certo anche il discorso pronunciato in aula da Di Pietro, puntato soprattutto sull'incapacità dell'opposizione di presentarsi come alternativa credibile con un programma e un leader, lo conforta. Il Cavaliere questa volta ascolta con attenzione il leader dell'Idv, con il quale poco prima si era intrattenuto sotto gli occhi basiti dei deputati di maggioranza e di opposizione. Anzi sollecita addirittura l'attenzione di Angelino Alfano, futuro segretario del Pdl.
La verifica per il premier è stata indubbiamente un successo: l'opposizione ha preferito non presentare una mozione di sfiducia, visti i 317 voti ottenuti il giorno prima dalla maggioranza; Bossi rumoreggia un po', lascia a Castelli il compito di tornare all'attacco dei «romani» sul pedaggio per il Gra, ma niente di più. E una volta varata la manovra, ci sarà da risolvere solo la grana Pdl: il Cavaliere vorrebbe affidare tutto nelle mani di Alfano, ma le correnti pidielline stavolta sono intenzionate a farsi sentire.
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