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Questo articolo è stato pubblicato il 01 luglio 2011 alle ore 06:36.

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ROMA - Questa volta non sono bastati tre minuti per il via libera alla manovra. Giulio Tremonti ha mantenuto fede all'impegno: ha ascoltato, discusso e limato. Alla fine però il ministro dell'Economia ha portato a casa quel che davvero gli interessava: i 47 miliardi che dovrebbero consentire il raggiungimento del pareggio di bilancio nel 2014. Un risultato rivendicato anche da Silvio Berlusconi al quale però preme soprattutto sottolineare di «non aver messo le mani nelle tasche degli italiani».
Dopo giorni di tensioni al limite della rottura, la tregua tra il premier e il ministro dell'Economia sembra reggere. Anche perché ci sono alcune partite ancora aperte. Prima fra tutte l'indicazione del prossimo governatore di Bankitalia su cui, non a caso, ieri è intervenuto con una nota anche il Capo dello Stato, che ha chiesto di evitare «dispute laceranti» e «contrapposizioni personali».

Un invito che non dispiace al premier. Berlusconi prende tempo, dice che non c'è fretta. Ma è chiaro che sugli equilibri interni e in particolare con Tremonti la casella di Palazzo Koch può risultare determinante. Il premier ha bisogno di raffreddare il clima. Il faccia a faccia con Tremonti prima del Consiglio dei ministri (iniziato per questo con un'ora di ritardo) ha contribuito allo scopo. Il ministro dell'Economia, pur garantendosi i saldi, ha dovuto accettare alcune modifiche, mostrando così "comprensione" alle istanze che provenivano dai colleghi di governo e non solo. Ha dovuto rinviare alla prossima legislatura il taglio dei costi della politica ma ha ottenuto la conferma della tassa sulle auto di grossa cilindrata che Berlusconi avrebbe voluto cassare. Si racconta che l'unico vero momento di tensione sulla manovra si sia registrato sulla soppressione dell'Ice, osteggiata fortemente dal ministro dello Sviluppo economico Paolo Romani. Non sono mancate resistenze sulle professioni anche da parte del ministro Brambilla. Ma per il resto «tutto è filato liscio». «La manovra è frutto della collaborazione tra tutti i ministri», ha garantito il premier.

Anche la vicenda rifiuti è stata in realtà una partita assai meno spigolosa di come potrebbe apparire. Il «no» della Lega al decreto non è stato affatto una sorpresa per il premier. Bossi glielo aveva anticipato. Al Carroccio interessava infatti mandare un messaggio chiaro alla sua base e Berlusconi ne ha preso atto. Il decreto approvato ieri serve a poco (come ha detto lo stesso governatore della Campania Caldoro) ma «di più non si poteva fare», ha ammesso il premier, consapevole che un provvedimento più stringente avrebbe innestato una reazione assai più pericolosa per la sopravvivenza del governo da parte di Bossi.
Adesso l'attenzione si sposta sul parlamento. Berlusconi mette le mani avanti, anticipando che il governo chiederà fiducia sulla manovra. Il rischio che, non tanto l'opposizione ma la sua stessa maggioranza, possa mettere a repentaglio l'equilibrio faticosamente raggiunto è infatti tutt'altro che improbabile. Il voto sulla legge comunitaria è stato più che un campanello di allarme. Così come l'uscita dal Pdl dei parlamentari di Forza Sud, il movimento fondato dal siciliano Gianfranco Miccichè, proprio alla vigilia del Consiglio nazionale che oggi incoronerà Angelino Alfano segretario del partito.
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