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Questo articolo è stato pubblicato il 03 luglio 2011 alle ore 14:37.

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Strane elezioni, in Thailandia. Tra i due principali partiti che si affrontano, piuttosto simili nei programmi, vince sempre lo stesso. Il suo nome cambia e oggi è Puea Thai (Per i thailandesi), ma l'uomo che lo manovra - dall'esilio - è ancora Thaksin Shinawatra, il controverso tycoon che mai e poi mai l'establishment di Bangkok vuol ritrovare al potere. Perciò Thaksin e i suoi vincono le elezioni, ma poi lo scenario cambia. Proteste di piazza, Camicie gialle contro Camicie rosse, interferenze giudiziarie, colpi di Stato: l'ultimo nel 2006, rovesciò il Governo Thaksin. È la storia degli ultimi 10 anni, il voto di oggi potrebbe non fare eccezione. La Thailandia vive in una cronica instabilità politica che a ridosso delle urne spaventa gli investitori, anche se l'economia - la seconda del Sud-Est asiatico - non si fa scuotere più di tanto.

Sapendo dove sta il cuore della gente, il primo ministro Abhisit Vejjajiva - al Governo non per volontà popolare ma spinto dai militari e dall'élite vicina al re - non avrebbe mai voluto rivolgersi agli elettori così presto. Ma il suo Partito democratico aveva bisogno di legittimità dopo i sanguinosi avvenimenti della primavera 2010, quando Abhisit mandò l'esercito a reprimere la protesta delle Camicie Rosse vicine a Thaksin. Ci furono almeno 90 morti. Il voto era necessario per tentare di guarire la ferita.

Un'impresa difficilissima. Anche perché il Puea Thai, come un tempo Thaksin, guadagna popolarità appoggiando i meno fortunati di Thailandia, gli abitanti delle campagne, i poveri nelle città. Nei villaggi non hanno dimenticato il "salvatore" che veniva a migliorare la vita. Per conquistarli il premier ha copiato dai rivali un programma populista: sussidi ai contadini, infrastrutture, assistenza sanitaria. Ecco il secondo paradosso: due schieramenti divisi in modo insanabile dalla storia recente e dal sangue potrebbero anche governare in armonia. I Democratici di Abhisit promettono di aumentare il salario minimo del 25%, il Puea Thai del 40: entrambi vogliono rilanciare i consumi interni, malgrado il rischio che sia poi l'inflazione a soffocare la crescita di un Paese che dipende dall'export.
Guardando ai sondaggi, comunque, gli sforzi di Abhisit appaiono inutili. Un «colpo di genio» dei rivali - così l'ha definito l'Economist - ha visto la sorella minore di Thaksin prendere il posto del fratello. Se Puea Thai vincerà, e se lo lasceranno governare, la 44enne Yangluck sarà il primo ministro donna della Thailandia.

Attraverso di lei gli orfani di Thaksin vedono una possibilità di ritorno per l'ex premier, a cui serve un Governo amico e un'amnistia perché ha sul capo una condanna per frode e abuso di potere. Ma Yangluck Shinawatra si è rivelata una buona scelta anche perché malgrado sia una donna d'affari senza esperienza politica, ha portato alla campagna elettorale un tono diverso. Non attacca gli avversari, supplica di essere messa alla prova. «Per favore - ha detto Yingluck venerdì sera, senza smettere di sorridere - date a questa donna la possibilità di servire il Paese. Date a questa donna la possibilità di tornare a una riconciliazione». Yingluck sta attenta a non apparire un burattino del fratello: anche se in fin dei conti è chiaro che, ancora una volta, votando si dice sì o no a quell'uomo in esilio. «È tempo di liberarsi del veleno di Thaksin», ha gridato il premier in uno degli ultimi comizi.

Quel che avverrà questa sera dipende in gran parte dal distacco tra gli schieramenti. Uno scarto minimo darebbe immediatamente motivo alla controparte di contestare il conteggio, di gridare alla cospirazione. Si aprirebbero le contrattazioni con i partiti minori, si getterebbero i semi per riaccendere le proteste. La Thailandia si ritroverebbe nella trappola delle proprie divisioni.

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