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Questo articolo è stato pubblicato il 13 luglio 2011 alle ore 18:57.

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Saverio Romano (Ansa)Saverio Romano (Ansa)

La procura di Palermo ha chiesto il rinvio a giudizio per concorso in associazione mafiosa per il ministro per le Politiche agricole, Saverio Romano. La richiesta di rinvio a giudizio per il ministro è firmata dal pm Nino Di Matteo e dall'aggiunto Ignazio De Francisci. Entro le prossime 48 ore il gup fisserà la data per l'udienza preliminare. Secondo i magistrati, Romano avrebbe mantenuto «rapporti diretti o mediati» con esponenti di spicco dell'organizzazione al fine di trarne sostegno elettorale. Entro le prossime 48 ore il gup fisserà la data per l'udienza preliminare. Come si ricorderà, sulle vicende giudiziarie di Saverio Romano lo stesso Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, prima di firmarne la nomina ministeriale, aveva invitato a riflettere e valutare.

L'opposizione chiede le dimissioni
Le opposizioni (Pd, Idv, Sel, Federazione delle Sinistre) hanno chiesto in coro le sue dimissioni e sollecitato Lega e Pdl a fare altrettanto, ricordando in particolare ad Angelino Alfano al suo impegno a favore del "partito degli onesti", Futuro e Libertà, la formazione del presidente della camera Gianfranco Fini ha preannunciato che, in assenza di dimissioni spontanee, sarà da loro depositata una mozione di sfiducia individuale nei confronti del ministro. «Nella settimana che ci avvicina alla commemorazione del sacrificio di Paolo Borsellino è intollerabile che il Governo italiano abbia al suo interno un ministro imputato di concorso esterno in associazione mafioso», ha detto il vicepresidente finiano dell'antimafia Fabio Granata, preannunciando la mozione.

Critiche da Fini: lasci
La permanenza di Saverio Romano al governo non è un problema di «incompatibilità, ma di opportunità». Problema analogo a quello che riguarda Marco Milanese e Alfonso Papa, per i quali è stata chiesta l'autorizzazione alle Camere. Così il presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha commentato oggi in conferenza stampa la richiesta di rinvio a giudizio del ministro delle Politiche agricole per concorso esterno in associazione mafiosa. «Non so come si comporterà Alfano in alcune vicende - ha aggiunto Fini - come quelle delle due richieste di arresto» per Alfonso Papa e Marco Milanese, ma per loro vale «lo stesso problema di opportunità che riguarda la richiesta di rinvio a giudizio per un reato inquietante» che riguarda il ministro Romano. Fini ha comunque augurato al neosegretario del Pdl di fare del «Popolo della libertà il partito degli onesti».

Romano: ritorsione politica
La risposta di Romano non si è fatta attendere. Il ministro resta «a testa alta» nel Governo Berlusconi e si considera «vittima di una ritorsione politica» per «aver salvato con il mio voto a dicembre, insieme ad altri colleghi, la maggioranza e il governo». E intende «tutelare in ogni sede giudiziaria e politica» il proprio buon nome, denunciando «ad alta voce la strumentalità non dell'atteggiamento delle opposizioni, che hanno tutto il diritto di chiedere le mie dimissioni, se lo ritengono» ma dell'«intervento a gamba tesa in una vicenda squisitamente politica da parte del presidente della Camera Gianfranco Fini, perché a oggi - ha affermato - di inopportuno c'e' solo l'intervento della stessa persona che a dicembre, spogliandosi della terzietà che impone il rivestire la terza carica dello Stato, ha raccolto le firme per far cadere il Governo».

L'attacco di Di Pietro
Su Romano parte all'attacco anche Di Pietro. «È inconcepibile e inaccettabile che al governo ci sia una persona nei cui confronti sia stata disposta una richiesta di rinvio a giudizio per gravi fatti di mafia. Noi dell'Idv - prosegue - insistiamo che nel caso specifico del ministro Romano, e più in generale, si stabilisca come codice etico che tutti coloro che sono rinviati a giudizio prima debbano farsi giudicare e solo dopo potranno assumere incarichi di governo».
Di Pietro ha annunciato un'iniziativa parlamentare «che abbia la forza di una mozione di sfiducia, in modo da stabilire una volta per tutte chi in Parlamento voglia rendersi complice di questa anomalia tutta italiana che dà la possibilità a uomini delle istituzioni di nascondersi dietro il loro ruolo, invece di rispondere ai giudici».

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