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Questo articolo è stato pubblicato il 14 luglio 2011 alle ore 08:16.

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ROMA - Risolta la questione dell'approvazione lampo della manovra, ora riesplode con fragore la questione morale. A Zagabria, dov'è appena giunto in visita di Stato, Giorgio Napolitano viene ovviamente informato degli ultimi sviluppi della situazione, e la notizia più clamorosa arriva da Palermo con la richiesta di rinvio a giudizio da parte della Procura di Palermo nei confronti del ministro dell'Agricoltura, Saverio Romano, per concorso in associazione mafiosa.

Nessun commento ufficiale dall'entourage del presidente della Repubblica, ma è facile intuirne la reazione. Basta ripercorrere quel che accadde il 23 marzo quando il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, gli impose di fatto la nomina dell'esponente dei responsabili pur essendo pienamente consapevole delle riserve che Napolitano aveva già espresso in merito. Obiezioni che il presidente della Repubblica affidò a una nota ufficiale, in cui si ricordava come fin dal momento in cui gli era stata prospettata la nomina di Romano, avesse ritenuto necessario «assumere informazioni sullo stato del procedimento a suo carico per gravi imputazioni».

Risultò che il giudice per le indagini preliminari non aveva accolto la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura di Palermo. La decisioni era prevista nelle settimane successive. Da qui le esplicite riserve sulla nomina «dal punto di vista dell'opportunità politico-istituzionale». Presa di posizione che dunque è agli atti, come si suol dire. Berlusconi formalizzò comunque la proposta di nomina, e Napolitano la ratificò «non ravvisando impedimenti giuridico-formali che ne giustificassero un diniego». L'auspicio fu che gli sviluppi del procedimento chiarissero al più presto l'effettiva posizione del ministro.

Già una settimana prima, peraltro, Napolitano aveva invitato Berlusconi a fare chiarezza sulla posizione processuale di Romano, ma il premier gli oppose la secca logica dello stato di necessità: la nomina serviva a rafforzare la maggioranza alla Camera e a dare un riconoscimento ai responsabili.

Ma anche oltre il caso Romano, è il moltiplicarsi di casi che fanno riesplodere in pieno la questione morale ad allarmare: dalla richiesta di arresto di Alfonso Papa all'affare Milanese. Non è escluso che il presidente tragga spunto da questi eventi simultanei per dire la sua sull'intera questione.
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