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Questo articolo è stato pubblicato il 16 luglio 2011 alle ore 08:13.

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ROMA
La Lega non fa più sconti. Il varo della manovra lacrime e sangue impone a Umberto Bossi e ai suoi colonnelli di rispolverare alcuni vecchi vessilli, marcando la distanza da Silvio Berlusconi e il resto della maggioranza. «Alfonso Papa? In galera», dice lapidario il Senatur che ha da poco incontrato il presidente del Consiglio. Bossi non ignora certo che Berlusconi è di parere opposto. Ai deputati che sono andati a trovarlo nella sala del governo, il premier ripete che è «contro i processi sommari in aula», sottolineando che l'arresto di un parlamentare rappresenta «un gravissimo precedente». Lo aveva già detto personalmente poco prima allo stesso deputato del Pdl, su cui pende una richiesta di arresto della procura di Napoli.
In mattinata la giunta per le autorizzazioni a procedere aveva dato parere favorevole all'arresto di Papa. I due esponenti della Lega si erano astenuti. Si racconta di un Bossi arrabbiatissimo per la posizione «pilatesca» dei due deputati del Carroccio, che vengono indicati come vicini al capogruppo Marco Reguzzoni. Tant'è che non è da escludere un passaggio di consegne tra Reguzzoni e Giacomo Stucchi alla guida dei deputati già in settimana.
Bossi in questo momento vuole segnare la distanza. Niente riforma della Giustizia né delle intercettazioni. Il Senatur ha assicurato al premier di non voler prestare orecchio alle sirene, che dall'opposizione gli suggeriscono di staccare la spina al governo. Ma è chiaro che la Lega non può più permettersi di apparire "distratta" in alcune situazioni che fanno infuriare la base del Carroccio. Il caso Papa è tra questi. Dopo giorni di tentennamenti, Bossi ha sciolto le riserve e ha girato il pollice in giù. Le voci insistenti in Transatlantico raccontano dell'imminente arrivo di nuove richieste dalle procure di mezza Italia, accompagnate da ondate di intercettazioni. Ieri sarebbe già partita da Genova quella per il deputato del Pdl Eugenio Minasso, molto vicino al ministro Altero Matteoli. La Lega teme di rimanerne travolta. Di qui l'ordine di scuderia di Bossi.
Berlusconi fiuta l'aria. Il sorriso che ostenta a chi lo insegue nella sala del governo è di facciata. Il premier davanti ai giornalisti indossa la veste istituzionale, difende l'operato del governo, la gestione di questa fase difficile. Ma appena chiude la cartellina che conserva la dichiarazione appena pronunciata, non rinuncia a far capire come la pensa. «Mi è stato attribuito un silenzio inspiegabile. È molto chiaro invece che le cose recentemente accadute che mi hanno riguardato da vicino sono tali che se dicessi quello che penso davvero non coinciderebbe con gli interessi del Paese in questo momento». Chiaro il riferimento alla condanna per il risarcimento di Cir. Ma non solo. Berlusconi vuole anche prendere le distanze da una manovra impopolare e da quell'appello alla coesione in cui intravede lo spettro del governo tecnico.
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