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Questo articolo è stato pubblicato il 17 luglio 2011 alle ore 16:45.

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I "Nove impegni per la crescita", che fanno parte del Manifesto del Sole 24 Ore pubblicato ieri, intendono aprire un dibattito aspro e serrato sul sentiero di sviluppo dell'economia italiana. La triste aritmetica delle correzioni di bilancio finirebbe per indebolire il corpo già sfibrato del l'apparato produttivo se non fosse assortita da misure per la crescita, e se il principio ispiratore delle correzioni, e le riforme del modus operandi della pubblica amministrazione, non avessero lo scopo principale di dare spazio alle energie vitali di cui il Paese è ricco. Nella disperante ricerca delle ricette utili a riprendere il sentiero di crescita per l'economia italiana, le ricette sono più concorrenza, più mobilità, meno rigidità, più merito, più stabilità nelle istituzioni... In una parola, per riprendere uno slogan della Confindustria di qualche anno fa, "più Stato e più mercato".

Una volta individuate le cose da fare, bisogna poi farle. Basta una ricerca sul numero di volte in cui appare, sulla stampa quotidiana la parola "riforme" (preferibilmente "strutturali") per rendersi conto di quanta acqua (e da quanto tempo) venga pestata nel mortaio. Dietro questo stallo non vi è tanto cattiva volontà quanto il fatto che le ragioni delle mancate riforme sono anch'esse "strutturali": frazionismo della politica, antagonismo secolare fra pubblico e privato, sistemi educativi che portano a scarsa qualità del capitale umano, istinti protezionistici interni ed esterni...La dice lunga il fatto che la parte più performante della nostra economia è quella che è costretta a confrontarsi a testa alta e senza grucce con la concorrenza internazionale: gli andamenti dell'export rappresentano da anni la parte meno opaca fra le luci e le ombre dell'economia italiana. Frazionismi, antagonismi e sistemi educativi sono lenti a cambiare, ma il lento decorso di una guarigione "strutturale" può essere accelerato, e qui si apre un dibattito che, una volta tanto, sarà un elenco di cose concrete.

Una delle proposte del Manifesto riguarda la questione-chiave della trasparenza: fare in modo, cioè, che bellezze e bruttezze emergano con più nitore di quanto accada oggi. Non bisogna sottostimare il potere disinfettante della luce solare, e da questo punto di vista una utile "riforma a costo zero" sarebbe quella di introdurre nel nostro Paese un Freedom of Information Act (Legge per l'accesso all'informazione - Lai - vedi Il Sole 24 Ore del 20-12-2006).

L'Italia è in effetti l'unico Paese del G7 a non avere una Lai. Che cosa permette questa normativa? Permette ad ogni cittadino di avere accesso a qualunque documento in possesso della pubblica amministrazione (Pa), salvo le doverose eccezioni legate a sicurezza e privatezza. Se non si riesce a far sì che le risorse del Paese affluiscano là dove possono essere meglio impiegate possiamo almeno richiedere che le decisioni del Governo in proposito e la documentazione che le sottende siano a disposizione di tutti; se non si riesce a far avanzare la meritocrazia, possiamo almeno richiedere che la nomina di un dirigente venga assortita dai curricula del nominato e di quelli che non gli sono stati preferiti (sperando che la "luce solare" ex post possa influenzare le nomine ex ante); e così via. Una Lai copre tutti o quasi gli atti che la pubblica amministrazione produce e conserva, dai contratti ai memorandum interni e agli scambi di lettere fra ministeri, dalle istruttorie delle Authorities ai bandi di gara.

Nei Paesi dove una Lai è pratica antica, molte malversazioni sono venute alla luce da documenti ottenuti dai cittadini sulla base del Freedom of Information Act. Negli Stati Uniti (uno dei ben 61 Paesi che hanno una Lai negli statuti) questo accesso è stato usato per mille scopi diversi, dal contestare i contratti di Halliburton in Iraq a sollevare veli di connivenze sulla sicurezza di alcuni medicinali, dal richiedere i rimborsi spese del viaggio all'estero di un sottosegretario a dettagliate informazioni sull'applicazione pratica del Patriot Act.

«Dov'è la saggezza che abbiamo perso nella conoscenza? Dov'è la conoscenza che abbiamo perso nell'informazione»? Il canto del coro - in "The Rock" di T.S. Eliot - sembra mettere l'informazione ai piani bassi del sapere, ma in fondo sono i piani bassi che sorreggono i piani alti. La Lai è un lubrificante essenziale della democrazia. C'è di solito una profonda asimmetria di informazione fra quel che il Governo "sa" e quel che i cittadini sanno. E l'Italia avrebbe bisogno di una Lai ancor più che gli altri Paesi. La cosa pubblica è troppo spesso "cosa nostra": Stato e Governo non hanno nessuna inclinazione alla trasparenza perché in tanti casi il potere viene esercitato in un'ottica di spartizione delle spoglie piuttosto che in un'ottica di servizio al cittadino.

La Lai è, in un certo senso, il contrario della privacy: la sfera privata deve essere protetta, la sfera pubblica deve essere trasparente. C'è il rischio che una Lai italiana venga poi impantanata in ritardi e ricorsi e svogliatezza nell'applicazione? Il rischio certamente c'è, ma una Lai rimane qualcosa per cui vale la pena di battersi. Il miglioramento delle istituzioni, con un Parlamento affaticato da veti incrociati e una burocrazia allevata nel principio che tutto quel che non è permesso è proibito, è affidato a iniziative che partono dal basso, come fu per i referendum del 1992. E rimane in ogni caso, a incoraggiare a fare della casa comune una casa di vetro, l'invito evangelico: «Non v'è nulla di nascosto che non debba essere svelato, e di segreto che non debba essere manifestato».

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