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Questo articolo è stato pubblicato il 19 luglio 2011 alle ore 09:56.

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La scena dell'attentato in via D'Amelio nel quale rimase ucciso il magistrato Paolo Borsellino nel 1992 (ANSA)La scena dell'attentato in via D'Amelio nel quale rimase ucciso il magistrato Paolo Borsellino nel 1992 (ANSA)

Non c'è pace in via D'Amelio. È trascorso quasi un ventennio da quel 19 luglio 1992, ma la strage in cui persero la vita Paolo Borsellino e 5 agenti della sua scorta è una ferita che sanguina ancora. Le celebrazioni delle vittime dell'autobomba mafiosa ancora oggi agitano la società, e mandano in fibrillazione il mondo politico, la magistratura, le forze dell'ordine. Così, ieri, per l'ennesima volta, il ricordo si è venato di polemica.

Ancor più della strage di Capaci - che solo il 23 maggio '92 aveva sterminato Giovanni Falcone con la moglie e la scorta - l'attentato di Via D'amelio si colloca al centro dell'oscuro crocevia della "trattativa" tra Cosa nostra e lo Stato: basta stragi in cambio di processi addomesticati e carcere meno duro. Il mistero, rilanciato due anni fa dal mafioso collaborante Gaspare Spatuzza e dal figlio di Vito Ciancimino, Massimo, a settembre potrebbe sfociare in un nuovo processo per scagionare alcuni mafiosi e inchiodarne altri. Intanto, però, le indagini hanno sfiorato poliziotti, Servizi, politici e ruoli istituzionali.

I familiari di Borsellino hanno rinnovato ieri la richiesta della verità, almeno quella giudiziaria: «È venuto il momento di sapere chi e perché ha organizzato il depistaggio» ha ripetuto il figlio Manfredi, dirigente di polizia a Cefalù. Ma le sue parole di figlio e di cittadino sono state sovrastate da quelle duramente politiche del procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia. Il Pm, nel corso di una manifestazione di giovani inneggianti alla magistratura e alle sue indagini su stragi e presunta trattativa, ha pronunciato parole di fuoco contro i depistatori di allora e le coperture politico-istituzionali di cui godrebbero ancora oggi.

«L'Italia dei collusi e dei corrotti non vuole conoscere la verità sui misteri come la strage di via D'Amelio» ha scandito Ingroia durante il presidio dei giovani di Agenda Rossa a Palazzo di Giustizia, e ha invitato a «rifiutare il tentativo di quanti vogliono i cittadini teledipendenti e sudditi». Proprio il genere di orazione che ogni magistrato farebbe bene a evitare, specie se in qualche modo interessato alle inchieste. E infatti, da Roma, è giunta immediata e rovente la replica della Lega (Carolina Lussana: «È da irresponsabili lanciare sospetti») e dal Pdl (Fabrizio Cicchitto: «Non sappiamo di chi parli Ingroia; noi vogliamo si faccia luce in modo reale e non per propaganda»).

Maggior attenzione al significato che ha assunto nel tempo il sacrificio di Borsellino, proviene dalla società civile. Lo ha ribadito il vicepresidente di Confindustria Antonello Montante, nisseno, in un messaggio inviato alla Fondazione Borsellino, che dal 2005 affianca la scuola nel compito di formare cittadini liberi dalle suggestioni mafiose. Presieduta dal sostituto Procuratore Gaetano Paci, la Fondazione si ispira alla memoria del magistrato che «del rispetto della legalità e dei principi di giustizia, della lotta alla mafia e alla corruzione aveva fatto il suo credo quotidiano» scrive Montante; un «dovere e un valore che tutte le persone oneste possono condividere», proprio come ha fatto l'impresa siciliana: «Quelli di Borsellino sono gli stessi principi ispiratori che hanno portato Confindustria a prevedere l'espulsione di chi si avvicina alla mafia e distorce il mercato».

Oggi le cerimonie proseguiranno con altre manifestazioni e la presenza (disgiunta) del ministro dell'Interno e del presidente della Camera. Roberto Maroni deporrà una corona alla lapide affissa al reparto scorte di Palermo; gianfranco Fini si recherà invece sul luogo della strage.

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