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Questo articolo è stato pubblicato il 22 luglio 2011 alle ore 19:44.

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OSLO - Veli neri e torce accese sfilano lungo le strade imbiancate di Oslo. La massa scura procede sotto luci dorate e campane innevate, ai lati passanti incuriositi. C'è chi pensa si protesti contro il kamikaze suicida a Stoccolma la settimana prima; altri per le vignette su Maometto pubblicate nel 2006 su un quotidiano danese rispuntate a gennaio sul norvegese Aftenposten; qualcuno dice di non aver mai visto nulla di simile.

I ragazzi della sicurezza, origini irachene e iraniane, distribuiscono volantini e spiegano che è una commemorazione religiosa: venerdì 17 dicembre, i musulmani sciiti di Oslo ricordano il sacrificio dell'imam Hussein, nipote di Maometto ucciso a Karbala nel 680. «È così ogni anno» assicura Ahmed, telecamera in mano; l'eccitazione di Ian, fotografo freelance, e la tensione sul bel volto di Anne, giornalista appassionata di Medioriente, rivelano che stavolta è diverso.

A pochi metri dal parlamento, Zara dà spiegazioni più articolate: «È un po' un anniversario, un po' un modo di dire "siamo contro il terrorismo": Hussein è il nostro Islam, al-Qaeda è Yazidfo, il califfo che l'ha ucciso». La portavoce per caso tiene insieme velo nero e sciarpona-collare di lana grossa; l'educazione ricevuta in Iran e la dolce vita da studentessa di farmacia a Oslo, l'Islam e il paese che ama da sei anni. Chiede scusa perché mischia inglese, norvegese e farsi: balbetta, sorride, riparte. Alla parola Progress Party, prevale l'orgoglio di casa: «Non mi importa di loro, di questo non parlo».

Il Progress Party è dal 1997 il secondo partito del parlamento in Norvegia, l'economia scandinava che meglio ha attraversato la crisi, forte del petrolio scoperto nel 1969 e di una disoccupazione al 3,6% l'ottobre scorso. Nonostante i voti, i «Progs» norvegesi, nati nel 1973, sono isolati. I partiti di centro-destra hanno sempre rifiutato di lavorare con loro, al contrario del Tea Party statunitense che ad aprile ha inviato a Oslo Tim Philips, presidente degli "Americani per la prosperità", ospite di un seminario in cui ha spiegato come i seguaci di Sarah Palin combattono per il taglio delle tasse, uno dei due cavalli di battaglia dei populisti norvegesi.

Nel paese che dà lezioni al mondo con il Nobel per la Pace, è difficile sedersi al tavolo con chi vuol far entrare massimo mille immigrati all'anno e chiede il test dell'Aids obbligatorio per i nuovi arrivati. Dalle elezioni 2009 però non si esclude che ci sarà almeno un pranzo con il partito conservatore: il partito ha fatto un exploit (41 su 169 seggi e 22,9% dei voti). La campagna anti-Islam ha attecchito nelle teste degli elettori e influenzato le scelte sull'immigrazione del Labor Party, socialdemocratici al governo guidati dal premier Jens Stoltenberg.

Leader dei Progs è Siv Jensen, 41 anni, che proclama Margaret Thatcher come eroina e il suo il classico partito liberale. Busto di Ronald Reagan e bandierina israeliana in ufficio, Jensen afferma con rabbia che la Norvegia sta affrontando una «strisciante islamizzazione» e accusa gli altri partiti di ignorare il problema. Ripete che a Oslo il 25% delle persone è nato all'estero e in molte scuole solo il 5% dei bambini non fa parte di gruppi etnici.

Come in Svezia, una delle cause del successo dei populisti (ora rafforzati dalle notizie di estremisti che si muovono indisturbati in Scandinavia) è nei numeri: i migranti sono il 10% su 4,9 milioni di norvegesi.

Un po' quello che ripete Ketil Solvik-Olsen, deputato e vicesegretario del gruppo in parlamento, giovane come molti membri dello staff. Ha 38 anni, è figlio di un imprenditore, ha studiato in Michigan e Ohio, frequenta una congregazione pentecostale che si chiama Filadephia. Fa parte del partito da quando aveva 15 anni: «Siamo per una politica dell'immigrazione restrittiva e responsabile - spiega - in un piccolo paese di 4,9 milioni di abitanti è importante che l'integrazione funzioni. La Norvegia ha sempre accettato troppi immigrati e questo ha creato problemi di integrazione. A Oslo ci sono scuole senza bambini nati in Norvegia. Troppi immigrati rimangono fuori dalla forza lavoro e dipendono dal programma del welfare. Non è sostenibile per il welfare norvegese e non è giusto per il singolo immigrato». Poi aggiunge: «Noi crediamo davvero nella libertà di religione ma non c'è posto per l'estremismo religioso in Norvegia. Vediamo comunque preoccupanti segnali: gruppi di musulmani radicali che usano l'Islam per giustificare le loro idee politiche totalitarie».

Solvik-Olsen ricorda che il Progress Party è a favore della missione in Afghanistan come tutti i partiti norvegesi tranne il Socialist Left Party. Riconosce che la Norvegia è un'economia in salute, tuttavia «non si fa abbastanza per creare futura ricchezza: ad esempio aspettiamo da sei anni che il governo aggiorni le politiche sul petrolio». Solvik-Olsen sottolinea che con i conservatori potrebbero formare una solida maggioranza. Le sue risposte confermano che i giovani populisti scandinavi non si possono ridurre a slogan come "via immigrati, abbasso l'Islam e tasse più basse": hanno studiato, sanno dove sta andando il mondo. Sull'istruzione dice: «Stiamo perdendo posizioni nelle classifiche internazionali: siamo il più ricco stato d'Europa ma siamo mediocri in materie come lettura e matematica. Questa è una grande sfida che dobbiamo affrontare perché anche la nostra da economia industriale diventerà un'economia della conoscenza».

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