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Questo articolo è stato pubblicato il 24 luglio 2011 alle ore 14:53.

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Una diversa visione dell'America. È questo che separa, ha detto il presidente repubblicano della Camera John Boehner, il suo partito da Barack Obama e in nome di questa visione ha fatto saltare la trattativa.


Vedremo se alla riapertura dei mercati in Oriente, questa notte ora italiana, saremo ancora fermi, e con quali conseguenze. Il gigantesco psicodramma, vissuto in realtà da entrambi i fronti come un tentativo per predisporre a proprio vantaggio lo sfondo della campagna per il voto presidenziale e congressuale del novembre 2012, si concluderà comunque entro pochi giorni. In modo convincente forse, di facciata probabilmente.

Boehner intanto non ha rotto le trattative su tutto il fronte: ha chiuso con il presidente per riaprire subito il tavolo con la leadership democratica del Senato. L'obiettivo dei repubblicani è distruggere Barack Obama. Ma senza prendersi la responsabilità di rendere davvero insolvente il Governo federale. Senza una qualche intesa Washington dovrebbe, si pensa dal 2 agosto, ridurre le spese, dagli stipendi alle forniture ai trasferimenti. Un default federale aumenterebbe subito di circa un punto i tassi di mercato e questo costerebbe su mutui, carte di credito, debito pubblico e altro, circa 150 miliardi in un anno: il fronte responsabile non sarebbe perdonato.

Il vero nodo va però ben oltre il tetto legale di indebitamento, che in fondo è stato innalzato una settantina di volte dalla fine della seconda guerra mondiale e dieci volte dal 2000. E riguarda la governabilità del debito pubblico. Che non c'è più, con l'attuale rapporto tra entrate e uscite. Dal gennaio 2010 a oggi il debito federale (ufficiale) è aumentato del 15%, un balzo poco inferiore all'intero e già mastodontico debito pubblico italiano, con una velocità di indebitamento tripla - causa crisi finanziaria e recessione di fatto - rispetto ai già pessimi bilanci di Bush figlio. La governabilità non c'è più anche con un accordo tra repubblicani e Casa Bianca, a meno che non sia (è improbabile) molto incisivo. Alla vigilia di una dura campagna elettorale?

Già oggi il debito federale nella misura ufficiale è pari al 100% del Pil e nella misura vera, considerando cioè tutti gli impegni e le garanzie reali e maturate offerte dal Tesoro, arriva almeno al 140%, più dell'Italia cioè e secondo solo al Giappone. Con una pressione fiscale che è circa i due terzi di quella media dell'area euro ci sono i margini per agire anche sulle imposte, ma la "visione dell'America" dei repubblicani lo esclude. A parole, i repubblicani tratteggiano una nazione affidata ai privati, con un Governo centrale minimalista, poche tasse, perché il dollaro lasciato ai privati frutta assai più. Per contrasto, dipingono i democratici, e Obama in particolare, come statalisti e partito della spesa. Obama si presenta invece come uomo della gente comune, garante del ruolo socialmente attivo di Washington, come è dai tempi dei due Roosevelt, il primo e il secondo soprattutto.

L'autoritratto repubblicano è assai falso, e dimentica che sono stati i repubblicani, da Reagan in poi, il partito del debito crescente. E non è vero fino in fondo quello di Obama. Il presidente molto ha fatto per le banche e assai meno per il comune cittadino e soprattutto per i mutuatari nei guai causa il crollo inarrestabile dei prezzi delle case, come ha ricordato Sheila Bair lasciando giorni fa i vertici della sorveglianza bancaria. La confusione è grande, su entrambi i fronti.

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