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Questo articolo è stato pubblicato il 26 luglio 2011 alle ore 20:39.

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Marco Milanese (Ansa)Marco Milanese (Ansa)

Domani alla Camera i riflettori torneranno ad essere puntati sul caso di Marco Milanese, il deputato Pdl ed ex consigliere politico del ministro Giulio Tremonti, a carico del quale i pm di Napoli hanno avanzato una richiesta di arresto. Ma oggi il deputato pidiellino si difende dalle accuse nella lunga memoria difensiva trasmessa alla giunta di Montecitorio. Milanese è stato convocato domani dai magistrati napoletani che indagano sulla cosiddetta P4 e nella memoria sottolinea la presenza di «fumus persecutionis», soggettivo ed oggettivo, sostenendo tra l'altro che l'indagine assume la forma di persecuzione perché viene applicato un criterio diverso rispetto ai casi che riguardano imputati non parlamentari come lui.

Milanese: Tremonti pagava l'affitto in contanti
Nella stessa memoria, il parlamentare si sofferma anche sull'appartamento in via Campo Marzio e spiega che al pagamento dell'affitto, con 4mila euro al mese corrisposti a lui stesso di settimana in settimana, avrebbe partecipato lo stesso ministro Tremonti. Il pagamento, sostiene l'ex consigliere del ministro, è andato avanti fino a quando Tremonti non ha lasciato l'appartamento ed è stato effettuato sempre in contanti.

La difesa: non sono il deus ex machina delle nomine
Milanese dice poi di non considerarsi il "deus ex machina" delle nomine, e che nelle sue cassette di sicurezza «non ci sono 11 milioni di euro: si tratta di notizie che fanno parte di una «strategia ben studiata». Si è assistito a una campagna stampa, scrive l'ex consigliere di Tremonti, «che nei miei confronti è stata particolarmente feroce, messa in atto in modo tale che si traesse il convincimento che anche semplici vicende personali ed economiche, comuni a molte persone, siano state per me invece il frutto di corruzione o finalizzate esse stesse all'illecito». E così facendo «si è finito per dare per scontato, addirittura, che all'interno delle mie cassette di sicurezza si trovino 11 milioni di euro, ovvero chissà quale altro tesoro, e che io potessi essere il deus ex machina di tutte le nomine, anche di quelle di primo livello: e voi sapete - scrive Milanese - che così non è». Secondo il deputato, si tratta di una «ben studiata strategia» finalizzata «da un lato a gettare discredito sulla persona e dunque sulla mia "preziosa" attendibilità di testimone» e dall'altro, «a condizionarvi attraverso la stampa e non attraverso la lettura degli atti».

L'affondo: alcune procure sono un colabrodo
Il deputato del Pdl attacca poi la magistratura. Alcune procure italiane, scrive Milanese, sono «un colabrodo di notiziae criminis». Emblematico, prosegue l'ex ufficiale delle fiamme gialle, «è il fatto che gli ultimi atti trasmessi alla Camera, pur rimasti chiusi nella busta di invio, custoditi in cassaforte fino a lunedì 25 (luglio, ndr), siano stati propalati dalle agenzie di stampa del 23 e dai giornali del 24. Così come erano a conoscenza del fatto, pubblicato il 23, che sarei indagato a Roma per i presunti rapporti con Sogei». In questo quadro, prosegue, «mi torna in mente il fatto che l'accusa mossa nei miei confronti è proprio quella di rivelazione di segreti e mi rammarico del fatto che ancora nessuno si voglia rendere conto che le Procure della Repubblica, almeno alcune, sono un colabrodo di notiziae criminis, di iniziative investigative e di atti processuali riservati, da molti anni, facendo finire sulla stampa le riprese visive di interrogatori di un indagato».

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