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Questo articolo è stato pubblicato il 26 luglio 2011 alle ore 06:42.

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La missione afghana a guida Nato è da cinque anni la più importate operazione militare effettuata da forze italiane. Dalla fine del 2006, quando si concluse l'operazione Antica Babilonia in Iraq (che in tre anni e mezzo costò 1,5 miliardi di euro), la missione in Afghanistan ha progressivamente assorbito più della metà delle truppe oltremare e dei finanziamenti per le missioni.

Dei 7.223 militari operativi oggi fuori dai confini nazionali (7.280 il tetto autorizzato dal Parlamento) ben 4.200 sono schierati a Herat e in piccola parte a Kabul più un altro centinaio dislocati ad Abu Dhabi con compiti di supporto logistico. Negli ultimi anni la consistenza del contingente è cresciuta e con essa gli stanziamenti finanziari passati dai 350 milioni di euro nel 2008 agli 807 di quest'anno. Cifre necessarie anche a coprire l'incremento dei mezzi aerei schierati a Herat, oggi 33 velivoli che costituiscono il terzo contributo aeronautico alle forze alleate dopo quello offerto da statunitensi e britannici.

Benché nei giorni scorsi la città di Herat e i suoi dintorni siano passati sotto il controllo delle forze afghane in base al processo di transizione che interessa quest'anno sette distretti e province, non è al momento prevista nessuna riduzione del contingente italiano. Piani precisi a tal proposito non sono stati resi noti e diverse fonti hanno parlato del rimpatrio di un imprecisato numero di soldati a partire dal 2012. La stabilizzazione dell'intera provincia di Herat potrebbe rendere presto superflua la presenza della Task force centre attualmente composta da circa 500 bersaglieri mentre la volontà espressa dal presidente Hamid Karzai di accentrare in mani afghane i fondi internazionali per lo sviluppo potrebbe portare alla chiusura di tutti i Priovincial reconstruction team (reparti militari dediti alla realizzazione di infrastrutture civili), incluso quello italiano di Herat.

L'anno prossimo potrebbero quindi risultare ritirabili 800/900 militari italiani anche se in termini militari sarebbe più indicato impiegarli almeno in parte per rafforzare lo schieramento italiano nelle aree ancora calde quali Bala Murghab e soprattutto la provincia di Farah che già assorbe la metà delle forze da combattimento italiane e dove sono stati uccisi 8 degli ultimi 11 caduti italiani. Il centro di gravità delle operazioni italiane si sta infatti spostando verso sud con un forte incremento anche delle esigenze di supporto aereo ed elicotteristico. Oggi tutti i velivoli italiani sono basati a Herat, a 300 chilometri dalle zone più calde di Farah. Le esigenze operative richiederebbero invece di trasferire da Herat un buon numero di elicotteri nella base italo-statunitense di Farah City per intervenire tempestivamente in tutta la provincia.

La necessità di sostenere il prioritario impegno in Afghanistan ha contribuito all'impulso di ridurre la partecipazione ad altre missioni internazionali. Dopo aver completato il ritiro dalla missione della Ue in Bosnia, l'Italia dimezzerà i 650 militari ancora schierati in Kosovo. Più complessa la riduzione delle forze in Libano dove sono presenti 1.600 caschi blu italiani (1.780 autorizzati dal Parlamento). Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, aveva annunciato il ritiro di 700 militari ma la questione non è stata ancora concordata con l'Onu che vorrebbero un maggior impegno del contingente del Ghana per compensare il ritiro di uno dei due battaglioni italiani. Per questo nei prossimi sei mesi è autorizzata la presenza di 1.550 militari che potrebbero ridursi a 1.080 a fine anno. La riduzione dell'impegno finanziario per la guerra libica, da 142 milioni per il periodo marzo-giugno a 58 per il trimestre luglio-settembre, dovrebbe venire determinata dal solo ritiro della portaerei Garibaldi. Nel complesso la spesa annuale per le missioni all'estero non subisce alcuna riduzione e raggiunge i 1.547 milioni di euro.

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