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Questo articolo è stato pubblicato il 28 luglio 2011 alle ore 07:48.
Un colloquio gelido, durato meno di mezz'ora, il tempo di espletare le formalità della nomina dei nuovi ministri. Francesco Nitto Palma diventa ministro della Giustizia, come era nelle intenzioni del premier, mentre Anna Maria Bernini – fedelissima del Cavaliere – diventa titolare del dicastero delle Politiche Comunitarie. Questo è stato l'incontro di ieri tra Silvio Berlusconi e Giorgio Napolitano che era stato preceduto da una nota scritta molto severa del Colle sul caso dei ministeri al Nord. E sarà stata anche la mancata risposta del premier a quel comunicato – interpretato in casa Pdl come un nuovo gesto per indebolire il premier – a rendere più teso e sbrigativo l'incontro di ieri. Il premier fa sapere che ne discuterà collegialmente nel consiglio dei ministri di oggi alla presenza dei ministri leghisti ma la sua attenzione – ieri – non era su questo tema. Piuttosto sul partito.
E infatti poco prima che Nitto Palma prendesse ufficialmente il suo posto al ministero della Giustizia, Angelino Alfano aveva comunicato le sue dimissioni e, dunque, la scelta di occuparsi a tempo pieno al Pdl. Di questo aveva parlato il premier nel suo incontro pomeridiano con i governatori di centro-destra dove ha perfino accennato a un nuovo cambio di nome e simbolo del Pdl. Nulla è ancora deciso ma sembra che il Cavaliere voglia incaricare una società di marketing e sondaggi per trovare la combinazione giusta tra nuovo nome e nuovo leader in vista delle prossime elezioni. Lui è ottimista e guarda al 2013, scadenza naturale della legislatura, anche se con i "suoi" governatori ha ammesso qualche difficoltà con la Lega. Una difficoltà che si chiama Roberto Maroni.
Il premier ha capito che in questo momento è lui l'interlocutore politico del Carroccio, quello che controlla i numeri alle Camere e con cui, quindi, deve fare i conti per i passaggi parlamentari più delicati, a cominciare dal processo lungo. Il faccia a faccia che ha avuto con lui martedì sera è stato all'insegna della schiarita ma le diffidenze, reciproche, restano. Il premier ieri ha rassicurato i presidenti di Regione dicendo che la Lega è Bossi e che l'asse è solido nonostante qualche tensione interna nel Carroccio. In realtà anche lui sta a guardare se l'ascesa di Maroni diventa più consistente. Di certo a puntarci e sperarci è Angelino Alfano: tra i due c'è un buon rapporto e la consapevolezza di dover trovare una sintonia per il futuro. Maroni aspettava le sue dimissioni e ora aspetta segnali di discontinuità nel Pdl.
«Bisogna accelerare il rinnovamento per essere pronti alle prossime elezioni», su questo insiste il premier mentre Alfano già si dà da fare convocando «il gruppo di lavoro per riscrivere le regole per la selezione dei candidati alle amministrative e per i leader locali del partito», mentre vanno avanti i lavori del "cantiere moderato" – per ricucire con Udc e Fli – sia pure tra i malumori di Antonio Tajani e Andrea Ronchi. In realtà i malumori sono in quella parte del partito che si sente in difficoltà (da Alemanno a Scajola) mentre il "corpaccione" Pdl – da Frattini-Gelmini agli ex An – si schiera dalla sua parte. Ma c'è chi come Osvaldo Napoli, vicepresidente dei deputati Pdl, ad Alfano parla con franchezza: «Inutile ripetere la mia stima nei suoi confronti ma lo aspetta un lavoro difficile: dovrà trovare la forza di valorizzare tutte le energie migliori e di alleggerirsi il cammino lasciando quella zavorra, che non è poca, accumulata nel corso degli anni nel partito. Va premiato chi sta sul territorio e rivitalizza i consensi visto che usciamo da una sconfitta elettorale». Ma la prima mezza giornata da ex ministro è segnata pure da una decisione disciplinare: il conferimento ai probiviri di Giancarlo Lehner che ha attaccato pesantemente le ministre Carfagna e Prestigiacomo e la deputata Biancofiore.
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