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Questo articolo è stato pubblicato il 02 agosto 2011 alle ore 16:31.

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Lo spread (parola inglese che significa «differenziale, scarto») nel settore obbligazionario funziona come termometro della fiducia degli investitori. In sostanza, è il differenziale di rendimento tra i titoli di diversi Paesi su una medesima scadenza. Sotto i riflettori in questo periodo è lo spread tra i rendimenti dei titoli di Stato della virtuosa Germania e i rendimenti dei titoli governativi dell'Italia e degli altri Paesi dell'Eurozona.

Per dare un'idea del cambiamento di umore nei confronti dell'Italia, va ricordato che lo spread BTp/Bund a inizio 2010 era intorno a 71. Poi sono aumentate le disparità tra l'andamento economico tedesco e quello italiano e puntualmente anche lo spread è salito. La crisi greca ha portato ulteriore sfiducia sui paesi periferici. Non solo sul Portogallo, i cui titoli sono stati declassati dalle agenzie di rating a junk bond, ma anche su Spagna e Italia. Ai primi di luglio lo spread tra BTp e Bund era a quota 184, oggi è arrivato a quota 348.

L'impatto sui conti nazionali
Lo spread tra i BTp italiani e i Bund tedeschi indica quindi quanto i titoli di Stato italiani devono pagare in più rispetto ai Bund per trovare degli investitori disposti ad acquistarli. Più aumenta lo spread, quindi, più l'Italia viene percepita come rischiosa dai mercati finanziari. Se, ad esempio, lo spread Italia-Germania è di 300 punti base, ciò significa che i BTp rendono il 3% in più dei Bund. Da qui l'aggravio per le casse pubbliche nazionali, costrette a pagare più interessi agli investitori.

Se questa crisi dell'euro dovesse rientrare con un effetto limitato a un solo anno, l'impatto di questo feroce allargamento del differenziale tra i rendimenti dei titoli italiani e tedeschi farebbe lievitare il costo del debito pubblico di 4-5 miliardi di euro. Pari allo 0,32% del Pil.

L'11 luglio, dopo un venerdì nero e un lunedì nerissimo, lo spread aumentò in media di 100 centesimi: più alto sulle scadenze corte, più contenuto su quelle lunghe. Se si tiene conto del fatto che in un anno il Tesoro emette tra i 420 e i 430 miliardi di titoli di Stato, questo incremento del gap tra titoli italiani e tedeschi fa lievitare annualmente il costo della raccolta e gli oneri per gli interessi sul debito pubblico attorno ai 4,5 miliardi. Un impatto tutto sommato gestibile, nel breve periodo, ma che rischia di crescere come una valanga nel caso in cui lo spread non riusca a restringersi velocemente.

Finché i tassi d'interesse a livello assoluto non sono elevatissimi, l'impatto dello spread risulta attutito: sempre tra l'8 e l'11 luglio, Evolution securities aveva calcolato che il livello medio delle cedole dei titoli italiani era partito da 4,125% arrivando a 5,05%. Il tasso medio dei coupon dei titoli in scadenza tra il 2011 e il 2015 restava ben più basso, del 3,6 per cento. Evolution securities avvertiva: se il debito in scadenza tra il 2011 e il 2015 dovesse essere rifinanziato con nuove emissioni al tasso del 5%, il costo del debito salirebbe di almeno 8,5 miliardi entro il 2015.

Lo spread nei mutui
Nel settore dei mutui quando si parla di spread si intende invece la percentuale (di norma tra l'1% e il 2%) che rappresenta il guadagno della banca. Quindi il tasso finale del prestito è composto dall'indice: Euribor o Irs maggiorato, appunto, dello spread. Questo valore è quasi sempre trattabile.

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