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Questo articolo è stato pubblicato il 07 agosto 2011 alle ore 08:10.

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NEW YORK. Dal nostro inviato
Buon viso a cattivo gioco. È stata questa la reazione della Casa Bianca e dei democratici alla decisione dell'agenzia Standard & Poor's di ridurre il rating degli Stati Uniti. Ma per Barack Obama il gioco si sta facendo pessimo. E i repubblicani hanno ancora una volta colto la palla al balzo per metterlo all'angolo.
Nel motivare la propria decisione S&P's ha puntato il dito sull'intera classe politica e sulla sua incapacità di conciliare posizioni contrastanti nel nome del bene (economico) comune. E in una sua dichiarazione il presidente ha sottolineato la necessità di «far meglio e mostrare alla nazione volontà, capacità e impegno di lavorare insieme per far fronte alle difficili sfide fiscali ed economiche». Senza accusare nessuno.
I repubblicani sono stati meno cavalieri. Il principale interlocutore della Casa Bianca, lo speaker della Camera John Boehner, ha definito la decisione di S&P's «un campanello d'allarme che spero convincerà i democratici di Washington a finirla di temporeggiare sul debito».
Molto più aggressive le reazioni dei candidati repubblicani alle presidenziali del 2012. A partire dalla deputata Michelle Bachmann, beniamina del movimento Tea Party, che ha accusato Obama di «distruggere le fondamenta della nostra economia, un pilastro alla volta» e ha poi chiesto le dimissioni del ministro del Tesoro, Timothy Geithner. L'ex governatore del Minnesota, Tim Pawlenty, ha dato dell'inetto al presidente, il suo collega ex senatore della Pennsylvania Rick Santorum lo ha invitato a prendersi le proprie responsabilità smettendo di scaricare le proprie colpe sugli avversari politici e l'ex governatore del Massachusetts, Mitt Romney, ha rilasciato una lunga dichiarazione in cui ha detto che «la politica economica fallimentare di questo presidente ha portato alta disoccupazione, deficit alle stelle e ora anche l'incredibile e senza precedenti perdita del rating AAA. Il presidente Obama aveva promesso che le cose sarebbero migliorate, ma è ormai abbondantemente chiaro che l'unico modo per migliorare le cose è avere un nuovo leader alla Casa Bianca».
La partigianeria dei repubblicani - e in particolare di quelli più vicini al movimento dei Tea Party - potrebbe portare l'elettorato moderato e indipendente a premiare la disponibilità al dialogo e al compromesso che, più del suo stesso partito, Obama ha dimostrato nel negoziato sul debito. Questa è la scommessa - e la strategia elettorale - della Casa Bianca. Ma tutti gli indicatori, sia economici che politici, portano a concludere che la strada della rielezione si sta facendo sempre più in salita. Con l'economia che ha ripreso a perdere colpi, la disoccupazione che rimane sopra il 9%, gli indici di Borsa in calo fortissimo e la popolarità di Obama sotto il 50%, quello della retrocessione del rating è un colpo molto difficile da assorbire.
Secondo il sondaggista democratico Geoff Garin, gli elettorati moderati - quelli che di solito determinano il risultato finale - sembrano essere consapevoli delle difficoltà oggettive della situazione economica ma si stanno dimostrando sempre più impazienti nei confronti del presidente. «Non lo accusano di tutto, ma sono frustrati dalla mancanza di segnali positivi».
A non promettere nulla di buono sono i dati storici. Dagli anni 50 a oggi soltanto due volte il Paese si è trovato a votare in un momento in cui gli indici di fiducia dei consumatori erano bassi quanto quelli odierni: nel 1980 e nel 1992. E in nessuna delle due occasioni è stato rieletto il presidente in carica - rispettivamente Jimmy Carter e George H. Bush.
Sulla base della sua analisi delle presidenziali passate, il politologo Douglas Hibbs ha dichiarato ieri al Washington Post che «se dovessi scommettere oggi scommetterei che Obama perderà». Pessimista si è dichiarato anche l'economista di Yale, Ray Fair, autore di un modello di previsione dei risultati elettorali: «Ha poco tempo per cambiare le cose e ancor meno strumenti per riuscirci».
Ma la previsione più negativa è arrivata da un anonimo «alto funzionario del partito democratico» che al sito Politico.com ha detto: «L'impatto economico della decisione di S&P's non è niente rispetto a quello di immagine: è un'esplosione termonucleare che potrebbe distruggere le ultime speranze per Obama di essere rieletto». Ma poi ha aggiunto: «L'unica speranza che a questo punto gli rimane a mio parere è che i repubblicani scelgano un candidato inaccettabile per la maggioranza del Paese».
Se fosse così si confermerebbe quello che pensano molti analisti: che il risultato delle elezioni dipenderà soprattutto dalla scelta che farà l'elettorato repubblicano nelle primarie. E se il candidato attualmente dato in vantaggio, l'ex governatore Mitt Romney, riuscisse a sconfiggere la resistenza dell'ala conservatrice del partito e del movimento Tea Party, a novembre del 2012 avrebbe ottime probabilità di farcela.
Cgatti@ilsole24ore.us
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