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Questo articolo è stato pubblicato il 07 agosto 2011 alle ore 08:11.
JPMorgan ha stimato che l'America potrebbe pagare cento miliardi in più l'anno, rispetto ai 414 del 2010 pari al 2,7% del Pil, in interessi sul debito, in presenza di un rialzo dei rendimenti sui Treasuries di 60-70 punti base nel medio periodo. Potrebbero salire i tassi d'interesse per prestiti di ogni genere, basati sui Treasuries, sottraendo preziosa spinta alla crescita economica. Numerosi operatori credono però che l'effetto del declassamento sarà più psicologico e di lungo periodo, segno di un declino del ruolo americano. Oggi i Treasuries potrebbero rimanere ugualmente uno degli asset più sicuri e ambiti. Ma se il taglio del rating provocherà scosse e spirali di sfiducia, la posta in gioco non potrebbe essere più alta.
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LA PRIMA VOLTA
Le radici di Standard & Poor's corrono indietro di 150 anni, al 1860, ma è nel 1941 che l'agenzia di rating acquisì lo status di oggi, nata dalla fusione tra Standard Statistics e l'editrice di Henry Poor, che ogni anno aggiornava un'analisi sullo stato finanziario e operativo di ferrovie e canali negli Usa. Ed è nel 1941 che S&P assegnò la sua prima tripla A agli Stati Uniti. La sua prima revisione negativa del credito sovrano, preludio del declassamento di ieri, arrivò il 18 aprile 2011: S&P puntò il dito sulla difficoltà di concordare a Washington un programma credibile di riduzione del deficit. Il 14 luglio poi l'agenzia spostò in negativo il suo credit watch: passo che sottintendeva una possibilità su due di abbassamento del rating nei tre mesi successivi, in caso di mancato accordo tra Casa Bianca e repubblicani sul deficit. Per restituire un outlook "stabile" S&P chiedeva un consolidamento fiscale di 4.000 miliardi in 10-12 anni. L'accordo raggiunto, tagli per 2.100-2.400 miliardi, non è bastato.