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Questo articolo è stato pubblicato il 09 agosto 2011 alle ore 06:37.

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NEW YORK. Dal nostro inviato
Barack Obama è sceso in campo contro il "downgrade" degli Stati Uniti. Con un'improvvisa presa di posizione dalla Casa Bianca, nel pieno di una bufera sui mercati che ha visto l'indice Dow Jones precipitare di oltre 600 punti e con alle porte lo spettro d'una ricaduta di aperta recessione, il presidente ha cercato di restituire fiducia a un Paese dai nervi scossi. Ha dichiarato che «non importa ciò che dice qualche società, questi sono gli Stati Uniti d'America, siamo sempre stati e sempre saremo un Paese da Tripla A». Che i mercati, nonostante le tensioni e il declassamento, continuano «ad avere fiducia» negli Stati Uniti. Ma ha anche invitato il Paese e la sua classe politica, democratici e repubblicani, ad adottare un «nuovo senso di urgenza» nell'affrontare la crisi americana.
Obama, ieri impotente nel contenere il nervosismo degli investitori, ha rivendicato che gli Stati Uniti hanno tuttora «i migliori imprenditori, la forza lavoro più produttiva, le aziende più straordinarie e le migliori scuole». Non solo: per riportare la calma e sostenere il continuo ruolo centrale di Washington, della sua economia e della sua finanza nel mondo, ha mobilitato anche Warren Buffett, il leggendario investitore noto come l'Oracolo di Omaha. Nella crociata contro Standard & Poor's, l'agenzia di rating responsabile della bocciatura, ha ricordato che Buffett crede nel Paese e «sa qualcosa di economia e finanza».
Durante il fine settimana il finanziere aveva dichiarato che, in realtà, gli Stati Uniti avrebbero diritto persino a «una quadrupla A», se esistesse. Buffett ha anche aggiunto di ritenere che gli Stati Uniti sapranno evitare un double dip, una nuova pericolosa recessione mentre sono ancora da smaltire gli effetti del collasso del 2008. Pur se ha ammesso che le ondate di vendite a Wall Street potrebbero causare una carenza di fiducia capace a sua volta di danneggiare l'economia.
Il presidente americano, pur riservando commenti caustici a S&P e a chi ipotizza ineluttabili declini dell'America, ha utilizzato almeno in parte il giudizio degli analisti dell'agenzia per rilanciare la sua agenda di politica interna, parsa in crescente difficoltà. «Hanno dubitato della capacità del nostro sistema politico di agire», ha dichiarato citando una delle principali ragioni addotte da S&P per il declassamento. Obama ha risposto che i problemi economici sono risolvibili e che Washington sarà in grado di fare i conti con le sfide dei deficit di bilancio. Quel che serve, ha affermato, è «un approccio equilibrato e di lungo termine per la riduzione del disavanzo: questa è la verità oggi, come lo era già ieri e quando sono entrato alla Casa Bianca». Ha aggiunto che non c'era neppure bisogno di un'agenzia di rating per sapere che «la paralisi a Washington negli ultimi mesi non è stata sicuramente costruttiva».
Per rompere la percezione di paralisi politica il presidente ha chiesto al Congresso di sbloccare senza indugio almeno due iniziative anti-crisi: l'estensione di sussidi di disoccupazione e di incentivi fiscali alle assunzioni che scadranno entro fine anno. Il mercato del lavoro rimane uno degli anelli più deboli dell'economia. Il principale test politico ed economico sarà però rappresentato dalla prossima nascita della Commissione speciale per la riduzione del deficit. Una commissione creata come parte del compromesso raggiunto tra democratici e repubblicani che all'inizio di agosto, dopo lunghe polemiche, ha innalzato il tetto del debito e evitato un default del Paese. È stato proprio quel compromesso e lo spettacolo di costanti battaglie tra i due partiti fino alla vigilia del default a lasciare del tutto insoddisfatta S&P.
L'intesa dentro e fuori la Commissione è però tutt'altro che sicura: Obama vorrebbe che nel piano, che porterà alla riduzione complessiva di 2.400 miliardi di dollari del disavanzo in 10 anni, fossero compresi non solo tagli di spesa ma aumenti delle entrate fiscali e delle tassi sui ceti più abbienti, ai quali si oppongono invece i repubblicani. Ipotesi di riforme dei grandi programmi federali su pensioni e sanità appaiono a loro volta difficili. «Ci sono molte buone idee per ridurre il deficit senza danneggiare la crescita», ha detto ieri Obama. L'asprezza dello scontro politico, alla vigilia di un anno elettorale, complica però la missione della Casa Bianca: i candidati repubblicani alle presidenziali, l'ex governatore Mitt Romney in testa, hanno attaccato Obama come principale responsabile del declassamento.
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