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Questo articolo è stato pubblicato il 12 agosto 2011 alle ore 06:42.

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NAPOLI
Se c'è stato un reato, dovrà accertarlo il Tribunale di Roma. Lo ha deciso la Procura generale presso la Corte di Cassazione accogliendo il ricorso dell'avvocato Enzo Musco, difensore di Michele Adinolfi, l'ex capo di Stato maggiore della Guardia di finanza indagato per favoreggiamento e rivelazione di segreto nell'ambito dell'inchiesta P4. La competenza del filone investigativo passa, dunque, da Napoli alla Capitale: il fascicolo riguardante la posizione dell'alto ufficiale delle Fiamme gialle – recentemente promosso generale di Corpo d'armata e trasferito al comando interregionale Firenze – sarà trasmesso nei prossimi giorni al procuratore aggiunto Alberto Caperna, chiamato a valutare la condotta di Adinolfi in relazione alla presunta fuga di notizie in seno all'inchiesta condotta dai pubblici ministeri Francesco Greco, Franco Curcio e Henry John Woodcock. L'accusa nei confronti del generale è di aver fatto avvertire Bisignani delle indagini a suo carico tramite il comune amico Pippo Marra (la cui posizione processuale, a questo punto, seguirà con ogni probabilità quella di Adinolfi, radicandosi a Roma anziché a Napoli dov'è sotto inchiesta per gli stessi reati). L'occasione della "soffiata" sarebbe stata la cena organizzata proprio da Marra, direttore dell'agenzia di stampa AdnKronos, a cui avrebbe partecipato anche Marco Milanese, il deputato del Pdl che rischia l'arresto in un'altra inchiesta, sempre condotta dalla Procura di Napoli, per corruzione, associazione per delinquere e rivelazione di segreto, ma che in questo filone veste i panni del testimone.
È il 21 giugno scorso, quando Milanese incontra i pm della P4 e mette a verbale: «Adinolfi mi disse: "Siccome non conosco Bisignani, ho mandato Pippo Marra per avvisarlo che vi erano indagini a suo carico"». Ma è sulla data dell'incontro conviviale che si scatena la battaglia giudiziaria, perché Milanese la colloca subito dopo l'estate 2010, mentre per il generale si sarebbe tenuta intorno a dicembre 2009, quando cioè l'indagine su Bisignani non era ancora partita.
Lo stralcio e il trasferimento della posizione di Adinolfi non è però l'unica novità della giornata, visto che un analogo provvedimento della Procura generale presso la Corte di Cassazione riguarda anche Alfonso Papa, il deputato Pdl accusato di associazione per delinquere, corruzione, concussione, estorsione, rivelazione di segreto e favoreggiamento, detenuto da quasi un mese nel carcere di Poggioreale. Un solo capo di imputazione, relativo a un presunto caso di concussione per un appartamento di via Giulia, a Roma, è stato stralciato e sarà trasferito anch'esso a Roma. Dove, peraltro, dal 21 giugno scorso, sono depositati anche altri atti provenienti dal filone-madre napoletano; ovvero l'appalto da nove milioni di euro per l'informatizzazione degli uffici di Palazzo Chigi, i contratti tra la società cartiera piemontese Ilte e le Poste, i rapporti tra Bisignani e l'ex dg della Rai Mauro Masi circa il contenzioso con Michele Santoro per la chiusura di Annozero. A Piazzale Clodio c'è anche la vicenda della pubblicità al sito di Roberto D'Agostino, Dagospia. Nel quadro degli accertamenti sulla cosiddetta P4 effettuati dai pm napoletani nel luglio scorso sono stati inviati a Roma anche gli incartamenti relativi agli appalti della Società generale di Informatica. Per questa vicenda il pm Paolo Ielo ha proceduto all'iscrizione nel registro degli indagati, per i reati di corruzione e finanziamento illecito dei partiti, di Marco Milanese, parlamentare del Pdl ed ex consulente politico di Giulio Tremonti, dell'avvocato veneziano ed ex presidente della Sogei Sandro Trevisanato ed il costruttore romano Angelo Proietti, titolare della società Edil Ars.
Ostenta, comunque, sicurezza il procuratore della Repubblica di Napoli, Giovandomenico Lepore, che dichiara a Radio 24: «L'impianto dell'inchiesta, con particolare riferimento alla competenza, resta solidissimo. La Procura generale della Cassazione ha confermato la competenza della Procura di Napoli a indagare per tutti i reati ipotizzati nell'inchiesta P4, con una sola eccezione: i reati di rivelazione di segreto d'ufficio e favoreggiamento personale a carico del capo di Stato Maggiore della Gdf, generale Michele Adinolfi. Attendo di leggere le motivazioni del provvedimento, che per larghissima parte confermano la correttezza del nostro operato» conclude il procuratore, sottolineando però che «quanto alla posizione del generale Adinolfi credo che non sia stata adeguatamente valutata la connessione tra i reati. Ma l'impianto dell'inchiesta e della competenza resta solidissimo».
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