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Questo articolo è stato pubblicato il 17 agosto 2011 alle ore 08:01.

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«Avrete una bella sorpresa fra poco, una grande sorpresa. Il Tfr in busta paga, prima che scompaia anche quello. Come avere due stipendi. L'ha pensato Tremonti, che quando va a casa sua c'è sua moglie che gli rompe le balle: guarda che qui c'è la gente sempre più povera. Devi fare qualcosa. E qualcosa ha trovato». Parola, sia pure colorita, di Umberto Bossi. Che ha rilanciato l'idea durante il suo 'passaggio' a Ponte di Legno nel giorno di Ferragosto.

Il decreto correttivo di 45 miliardi approvato venerdì sera dal Consiglio dei ministri approda oggi in Senato e appare già come un cantiere aperto. Aumento dell'Iva piuttosto che contributo di solidarietà sui redditi superiori ai 90mila euro, ritocchi al capitolo pensioni, sgravi per le famiglie, nuove ipotesi di tassazione (ad esempio dei capitali rientrati grazie allo scudo fiscale) e ora anche il Tfr in busta paga. Un'idea, quella dello 'sblocco' del trattamento di fine rapporto, che torna ciclicamente.

O attraverso il reintegro mensile in busta paga (si tratterebbe di circa una mensilità in più spalmata sui dodici mesi) o attraverso l'investimento in fondi regionali per lo sviluppo in alternativa alla previdenza complementare. Ad ogni modo l'entourage del ministro dell'Economia Giulio Tremonti precisa che si tratta di «una proposta di Bossi che verrà discussa con gli emendamenti al decreto». Insomma, la paternità non va cercata a Via XX settembre.

Che il decreto correttivo sia un cantiere in costruzione, d'altra parte, è stato confermato dello stesso premier. In partenza per Milano, durante l'ultima passeggiata per Portorotondo con i nipotini, Silvio Berlusconi ha fissato il paletto dei saldi, che devono restare «assolutamente invariati». «Ma se durante il percorso parlamentare emergono delle nuove idee che siano migliorative dei provvedimenti adottati nulla osta a che siano accolte». Il premier ha smentito le voci che lo volevano intenzionato a togliere di mezzo l'odiato contributo di solidarietà per i redditi al di sopra dei 90mila euro per aumentare invece di un punto l'Iva. «Un punto in più di Iva cambierebbe molto le cose perché sarebbero almeno cinque miliardi in più - è stato il ragionamento del premier - però l'Iva determina contrazione dei consumi, e vi sarebbe una maggiore evasione fiscale».

Quanto alla super-Irpef, «secondo i nostri calcoli darà un gettito di meno di un miliardo di euro (la relazione tecnica parla in realtà di 3,6 miliardi, ndr) ma è stato introdotto per giustizia perché non fossero le classi più disagiate a dover pagare maggiormente il costo della manovra».
Insomma, almeno ufficialmente Berlusconi sembra intenzionato a non toccare il prelievo triennale del 5/10% sui redditi medio-alti voluto da Tremonti. Ma il premier confida nel lavoro del Parlamento per introdurre almeno alcune modifiche: due anni invece che tre, sgravi fino all'esenzione per chi ha carichi familiari, spostamento ai 150mila euro della soglia oltre la quale applicare il prelievo. Chi gli ha parlato in questi giorni conferma che quella tassa proprio non gli va giù. E non sarà un caso che le proposte dei 'frondisti' del Pdl - giunti a quota 20 e che presto incontreranno il segretario Angelino Alfano per una «sintesi» - sono quasi identiche alle condizioni che mette il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini per l'astensione in Aula: no al contributo di solidarietà, aumento di un punto dell'Iva, innalzamanto dell'età pensionabile a 67 anni.

Il premier, assecondando almeno in parte le richieste dei 'frondisti', incasserebbe in un solo colpo due vantaggi: liberarsi dell'invisa super-Irpef e riavvicinare l'ex alleato centrista alla maggioranza. Un fedelissimo del premier come Osvaldo Napoli ieri rilanciava le perplessità sul contributo di solidarietà e chiedeva un intervento più incisivo sul fronte delle pensioni, a costo di indispettire la Lega. E a proposito dei 'frondisti' precisava: «Il Pdl non è una caserma. E Berlusconi saggiamente è pronto ad accogliere le modifiche, da qualunque parte esse provengono». Anche dal Pd. Nella direzione di spiazzare l'opposizione sembra andare l'idea, che il Governo starebbe valutando, di tassare i capitali rientrati in Italia grazie allo scudo fiscale: non il 15% come proposto dal Pd ma 1-5%: una misura che, se dovesse entrare nel decreto, i democratici farebbero fatica a bocciare tout court. Intanto Pier Luigi Bersani tiene la porta chiusa: «Questa manovra è già orfana, figlia di nessuno».
Sul piede di guerra anche la Lega. «La manovra non è blindata - avverte Roberto Maroni - e il Parlamento dovrebbe fare uno sforzo per azzerare i tagli previsti per gli enti locali e in particolare per i Comuni, che hanno sofferto riduzioni notevoli». Il cantiere è aperto.

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