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Questo articolo è stato pubblicato il 16 agosto 2011 alle ore 09:37.

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(Reuters)(Reuters)

MOSCA - La fuga di capitali dissangua il sistema finanziario russo e rappresenta una reale minaccia per la sicurezza nazionale. Gli analisti del ministero degli Interni hanno rivelato le statistiche vere dell'esportazione clandestina di denaro dalla Russia, quattro volte superiore ai dati finora riportati dalla Banca centrale della Russia.

Come ha dichiarato all'agenzia Interfax il generale della polizia, Denis Sugrobov, direttore del dipartimento antiriciclaggio «nel 2010 e nel primo trimestre del 2011 dalla Russia sono stati esportati illegalmente 5.000 miliardi di rubli (125 miliardi di euro)». Secondo il generale Sugrobov i principali canali attraverso i quali i capitali fuggono dalla Russia sono i Paesi baltici ex sovietici (Lituania, Lettonia, Estonia), il Cipro, Hong Kong, Svizzera nonché i territori off-shore della Gran Bretagna e dei Paesi Bassi.

Le rivelazioni della polizia sono state interpretate dai media russi come una denuncia delle informazioni sulla fuga di capitali, fornite dalla Banca centrale: secondo la Tsentrobank nel 2010 dal Paese sarebbero scomparsi 19 miliardi di euro, mentre nei primi quattro mesi del 2011 l'esportazione del denaro avrebbe totalizzato altri 20 miliardi di euro. Nel 2006-2007 in Russia era stato registrato un afflusso netto di denaro (+65 miliardi di euro), invece la Russia si è ritrovata nuovamente di fronte al problema della fuga di capitali nel 2008-2009, il biennio della crisi finanziaria globale in cui dal Paese quando, secondo la stessa Banca centrale, erano stati esportati 125 miliardi di euro. Per tutto il 2011 la Banca centrale ha previsto una fuga di capitali non superiore a 25 miliardi di euro.

Per Mikhail Zadornov, ex ministro delle Finanze della Russia e attuale presidente della banca statale VTB24 «la fuga di capitali dalla Russia indica in primo luogo la crescente diffidenza del business russo e internazionale nei confronti del sistema giudiziario del Paese; gli uomini d'affari non si fidano della capacità dello Stato di proteggere i loro diritti di proprietà privata», ha sottolineato Zadornov, secondo cui «il business – dalle società piccole, ai colossi come l'ex gigante petrolifero Yukos – hanno bisogno di sapere che lo Stato con tutto il suo peso difenderà i loro diritti di proprietà».

Gli altri motivi che costringono i capitali ad abbandonare la Russia sono la corruzione, l'instabilità politica provocata dalle incertezze sul futuro della Russia dopo le elezioni presidenziali del marzo del 2012, i tassi d'interesse proibitivi che stroncano sul nascere lo sviluppo del business. Contro una media occidentale del 5% in Russia gli interessi per un credito non scendono sotto il 15% all'anno.

«La lotta contro la corruzione, proclamata dal presidente, Dmitrij Medvedev, si è conclusa con un nulla di fatto. Il business non ce la fa più a soddisfare le esigenze dell'apparato burocratico corrotto. Negli ultimi anni il volume di una tangente media è aumentato di 10 volte», ha dichiarato il capo del dipartimento della sicurezza economica della società russa 2trade, Dmitrij Pushkarev.

Man mano si avvicinano le elezioni legislative e soprattutto quelle presidenziali, tra gli imprenditori e gli investitori cresce la sensazione angosciante di incertezza sul futuro politico ed economico del Paese. Mentre il presidente attuale, Medvedev, e il primo ministro, Vladimir Putin, continuano a "riflettere" sulla propria partecipazione alle elezioni, nel Paese circolano le voci secondo cui tutt'e due si candideranno per la prossima presidenza. «La vittoria di Putin significherà l'arrivo al Cremlino di una squadra nuova e molto probabilmente un cambiamento di base delle regole di gioco», ha sottolineato il direttore della società di analisi finanziaria "Finexpertize", Agan Micaeljan.

Come risultato di tutto questo la Russia perde capitali e investimenti, che trovano migliori applicazioni altrove. Nel rating della semplicità di condurre il business, la Russia si trova al 120° posto dei 182 Paesi analizzati. Nel secondo trimestre del 2011 la crescita del Pil è rallentata al 3,4% dal 4,1% registrato nei primi tre mesi dell'anno. Il dato si è trovato sotto le attese del Cremlino che il mese scorso aveva stimano la possibile crescita al 3,7 per cento.

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