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Questo articolo è stato pubblicato il 18 agosto 2011 alle ore 08:16.

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ROMA. L'impianto e la 'filosofia' della manovra correttiva, varata dal Consiglio dei ministri lo scorso 13 agosto e incardinata ieri al Senato, hanno fatto emergere in modo evidente le distanze e i contrasti che agitano la maggioranza e lo stesso Pdl e l'insofferenza sempre più evidente nei confronti del ministro Giulio Tremonti. A fare discutere e creare ulteriori tensioni sono le possibili modifiche da apportare al decreto, su cui i capigruppo del Pdl hanno comunque aperto a eventuali contributi migliorativi da parte dell'opposizione. Ieri sera, lo stesso Silvio Berlusconi si è detto disponibile a rivedere il provvedimento attraverso un confronto aperto, soprattutto all'interno del Pdl e con la Lega.

Nel partito del premier, però, le tensioni non mancano di certo. I 'frondisti', guidati da Antonio Martino e Guido Crosetto, presenteranno la prossima settimana un pacchetto di modifiche in un incontro con il segretario Pdl Angelino Alfano. Un'iniziativa che Berlusconi non considera però di rottura. Il premier, sottolinea Martino, «non può permettere che finisca per consunzione quella che è stata un'esperienza straordinaria: deve chiuderla bene, e certamente non può con questa manovra finanziaria, che è il contrario di quello che abbiamo sempre sostenuto». L'ex ministro degli Esteri e della Difesa, tra i fondatori di Forza Italia, spiega che «in questa legislatura il problema è stato Giulio Tremonti. Ma lo si sapeva.

Allora il quesito è: perché Berlusconi ha chiamato ancora Tremonti al ministero dell'Economia? E poi, al di là di chi sia il ministro, è indispensabile spacchettare il ministero dell'Economia». Martino suggerisce di vendere le partecipazioni statali. «Se c'é un signore che ha un patrimonio enorme ma moltissimi debiti che cosa fa per riequilibrarsi? Cede parte del patrimonio e abbatte i debiti. Si vendano le partecipazioni statali, che ne abbiamo ancora a non finire; riduciamo lo strapotere di dirigenti statali e parastatali e in compenso ritiriamo dal mercato una bella fetta di debito pubblico». L'economista liberale invita Berlusconi a tornare allo spirito del 1994, con obiettivi la riduzione delle tasse, della burocrazia e dello Stato. «Ho detto al presidente: guarda Silvio, punta almeno su una delle cose promesse. E se poi non te la lasciano fare, allora fà come il generale De Gaulle: ti alzi e te ne vai». Il gruppo dei dissidenti è agguerrito. E potrebbe contare anche sulla sponda di alcuni esponenti di spicco del Governo, come i ministri Roberto Maroni e Giancarlo Galan. Ieri Martino ha minacciato «una marcia su Roma anti-fisco» se l'impianto della manovra non dovesse cambiare e ha accusato la «componente socialista dell'Esecutivo di aver frenato le riforme».

Fanno discutere poi all'interno della maggioranza le diverse ipotesi avanzate in queste ore: l'introduzione del quoziente familiare, il versamento del Tfr in busta paga, un prelievo sui capitali rientrati con lo scudo fiscale e l'aumento dell'Iva. A frenare sugli ultimi due punti è la Lega, con Giancarlo Giorgetti che considera «tecnicamente» molto complesso tassare i 'capitali scudati' e Roberto Calderoli, per il quale «l'aumento dell'Iva è legato a una riduzione della pressione fiscale». In sua assenza, spiega il ministro leghista, un aumento dell'Iva «deprime i consumi e provoca minori entrate». Il ministro leghista insiste poi perché si punti su una riduzione delle missioni all'estero per dirottare i fondi su servizi come quelli scolastici. L'esame della manovra inizierà martedì prossimo in commissione Affari costituzionali del Senato. I capigruppo del Pdl Cicchitto e Gasparri hanno aperto all'opposizione, interessata ma scettica.

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