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Questo articolo è stato pubblicato il 22 agosto 2011 alle ore 19:26.

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Per la Serie A c'è il rischio declassamento (Afp)Per la Serie A c'è il rischio declassamento (Afp)

Serie A a rischio downgrade. Quella che dovrebbe iniziare sabato prossimo, alle 18, con l'anticipo Siena-Fiorentina, – sciopero dei calciatori, permettendo – potrebbe essere la stagione che sancirà il declassamento, fra le Leghe europee, della massima divisione italiana. Rispetto ai favolosi anni 90, quello che allora era il "campionato più bello del mondo", si trova oggi a essere surclassato, per ricchezza, fatturato e attrattività, dagli altri tornei continentali.

Un brusco risveglio di cui molti presidenti stentano evidentemente a prendere coscienza se, come è accaduto negli ultimi mesi, perseverano a litigare per spartirsi il sempre più magro "bottino" dei diritti tv, anziché progettare il futuro e tentare magari di sviluppare politiche di investimento su asset vitali come gli stadi e i vivai.

Il progressivo deterioramento della competitività dei club italiani si rispecchia platealmente nelle trattative del calciomercato. Al netto di possibili saldi e di qualche colpo a effetto piazzato in extremis da qui al 31 agosto, la serie A ha visto "emigrare" top players del calibro di Sanchez (finito al Barcellona) e Javier Pastore (acquistato dal Paris Saint Germain). E in lista di sbarco ce ne sono altri, come il camerunense Eto'o ammaliato dalle sirene e dalla super-offerta, 60 milioni in tre anni, dei russi dell'Anzhi.

Per la prima volta, dalla riapertura delle frontiere agli stranieri negli anni 80, nessun campione è arrivato nella Penisola. Le casse semi-vuote delle società italiane non possono più sostenere acquisti multi-milionari e ingaggi faraonici. D'altronde, a causa dei fastosi contratti stipulati in passato, senza la tagliola del fair play finanziario voluto dalla Uefa, l'Italia nella stagione 2009-2010 aveva la maglia nera nel rapporto fra il costo del lavoro (leggi ingaggi e tasse) e valore della produzione (i ricavi al netto delle plusvalenze): il 72% contro il virtuoso 52% della Bundesliga. Un'austerity che non ha solo aspetti negativi, perciò, specie in questa fase di grave difficoltà vissuta dal sistema produttivo.

I volti nuovi della A avranno i nomi di Bojan, Lamela, Alvarez, Danilo, Paglialunga e Ibarbo. Giovani di belle speranze, ma il cui "valore" è tutto da scoprire. E potrebbe pregiudicare, nei prossimi anni, l'appeal del torneo tricolore. Decisivo per la Serie A se vuole restare a galla. I ricavi dei club italiani dipendono infatti per i due terzi dagli introiti tv. Da biglietti e abbonamenti si racimola appena il 15% dei guadagni e il 20% da sponsor e merchandising. Voci che negli altri Paesi sono ben più consistenti e in crescita costante. Dalla stagione 2012/2013, peraltro, le Lega dovrà ridiscutere con le emittenti il nuovo contratto: gli scandali sul calcioscommesse e l'assenza di stelle di prima grandezza potrebbero mettere seriamente a repentaglio il miliardo di euro che finora tiene l'Italia in linea con Spagna e Germania.

Basterebbe in definitiva una riduzione del 10%, in mancanza di altri significativi canali di entrata, per retrocedere nella graduatoria dei fatturati. La stessa Ligue 1 francese, del resto, si prepara a spiccare un salto notevole. Tanto per cominciare si stanno costruendo, in vista dell'Europeo 2016, stadi più confortevoli e redditizi. I margini di crescita dei club transalpini stanno attirando anche investitori stranieri disposti a immettere decine di milioni di euro. L'impatto che ha avuto l'acquisto dal Psg da parte del ricchissimo fondo legato all'emiro del Qatar Tamin al-Thani (che ha acquistato, oltre a Pastore, altri sei giocatori di prima fascia), rispetto a quello della più "parsimoniosa" cordata Usa di Thomas Di Benedetto (che sarà ufficialmente presidente a settembre) sulla Roma è un segnale chiaro sulle prospettive (almeno su quelle immediate) del Calcio italiano Spa.

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