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Questo articolo è stato pubblicato il 24 agosto 2011 alle ore 06:38.

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TOKYO. Dal nostro inviato
«Sì, in genere i media tycoon non dovrebbero diventare premier». L'affermazione stupisce se a farla è Thaksin Shinawatra, il miliardario populista ed ex primo ministro thailandese in esilio dal 2006, che a Tokyo sta cercando di accelerare la riconquista di una rispettabilità internazionale in vista di un eventuale ritorno in patria.
Thanksin, 62 anni, è stato più volte definito il "Berlusconi dell'Asia" ma più che media tycoon si considera un self-made man del business delle telecomunicazioni e nel rispondere alla domanda sui proprietari di mass media in politica pensa forse più al media tycoon che è stato suo avversario, Sohndi Limthongkul. Tanto è vero che aggiunge: «Ci sono media che controllano i politici» e «i media possono essere utilizzati per propaganda governativa, ma non dovrebbero essere usati per attacchi agli avversari politici», mentre «i giornalisti dovrebbero essere sempre professionali».
Dopotutto, il colpo di Stato che l'ha scacciato dalla Thailandia nel 2006 è stato innescato proprio dalla decisione di vendere il business di famiglia.
«Berlusconi l'ho incontrato e conosciuto da premier, con lui ci sono somiglianze ma anche differenze» dice, senza riferirsi al fatto che i suoi seguaci portano la camicia rossa. Le definizioni correnti di flamboyant e divisive (specie nel polarizzare l'elettorato) non si attagliano solo all'uomo più adorato e più odiato, ma certo Thaksin è la più interessante figura politica del Sud-Est asiatico dagli anni '60.
La sua incursione nel mondo del calcio (come proprietario del Manchester City) è stata breve, i suoi sostenitori stanno più tra i contadini e gli strati urbani impoveriti che nel popolo delle partite Iva, ma l'insistenza sulla «persecuzione giudiziaria con motivazioni politiche» di cui sarebbe oggetto suona familiare, così come l'invocazione di una reale democrazia e tutela giuridica, che si spinge al desiderio di una nuova Costituzione.
Accusato di tutto, è stato condannato in via definitiva a due anni per una vicenda di conflitto di interessi relativamente minore. Dato tante volte per finito, è chiaro che cerca una ennesima resurrezione politica, tanto più ora che la sorella minore Yingluck, 44 anni, è diventata premier dopo aver stravinto le elezioni del 3 luglio scorso.
Tokyo ha deviato dalla sua diplomazia prudente concendendogli un visto per la richiesta di visitare le zone devastate dallo tsunami, con l'argomento che la domanda era pervenuta tramite il nuovo ministro degli Esteri (un lontano parente, che ora gli oppositori vorrebbero sottoporre a impeachment).
Thaksin non nega di essere «molto vicino» alla sorella (sospettata di essere teleguidata) e parla da leader di fatto quanto invita gli investitori giapponesi a «non spaventarsi della proposta di un aumento del salario minimo: dovete capire, 240 dollari in più al mese sono necessari per una vita dignitosa».
Dichiara che tornerà quando ci saranno le condizioni «per non essere parte del problema, ma della soluzione», ossia quando sarà in vista una «conciliazione, essenziale per la stabilità e prosperità del Paese».
In occasione della visita a Bangkok gli attivisti pro e contro sono scesi in piazza, gli uni a protestare davanti alle sedi diplomatiche giapponesi e le camicie rosse a inneggiare. Proprio mentre Thaksin incontrava la stampa a Tokyo, la sorella leggeva 44 pagine di dichiarazioni programmatiche al Parlamento in cui prometteva «una economia più bilanciata».
Per molti analisti politici, il fratello non gli fa un favore ad agitarsi tanto dall'estero, con il rischio di galvanizzare gli oppositori e provocare reazioni dell'establishment appoggiato dai militari.
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