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Questo articolo è stato pubblicato il 25 agosto 2011 alle ore 06:39.

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E ra il 12 agosto 1911, giusto cento anni. Enrico Insabato, funzionario di polizia ma soprattutto fiduciario e confidente del primo minsitro Giolitti, scrisse: «Secondo i turchi e molti arabi, il Banco di Roma è un organismo creato e sovvenzionato dal governo italiano per preparare l'occupazione della Tripolitania e non per fare operazioni bancarie e diffondere l'influenza italiana. La prima prova è che il Banco cerca di invadere, impadronirsi, sostituirsi a tutte le iniziative, a tutte le imprese, a tutti gli affari. La sua attività è stata diretta a distruggere il piccolo commercio, le piccole imprese, fossero esse di arabi o di italiani».
L'invasione della Libia era ormai alle porte, e il terreno politico in patria era già stato dissodato dalla propaganda, specie grazie alla stampa cattolica. Il tutto finanziato dal Banco di Roma. Infatti la grande banca romana ebbe un ruolo chiave nella guerra, visto che fu di gran lunga il principale finanziatore della spedizione. Curioso passato per un istituto che ora è dentro quell'UniCredit di cui la Banca centrale libica e la Lia hanno comprato il 7,58%. Una partecipazione strategica il cui ruolo andrà confermato (o meno) una volta che a Tripoli si sarà insediato il nuovo governo.
A parte il ruolo nazionalista che il Banco di Roma assunse in quegli anni di inizio del secolo scorso, la verità era che l'istituto facilitò la spedizione per salvaguardare i suoi investimenti, attività che venivano osteggiate dalla Turchia per limitare l'influenza italiana, tanto che il direttore del Banco di Roma a Tripoli era diventato successivamente l'italiano più influente nella capitale libica. Alla banca – all'epoca presieduta da Ernesto Pacelli, zio del futuro papa Pio XII – venne affidata tutta una serie di servizi e attività, come il controllo sui trasporti militari e civili, i rifornimenti di viveri per le truppe e una esclusiva sui servizi bancari delle forze armate.
Un ruolo denunciato dalle opposizioni. Il socialista Gaetano Salvemini attaccò: «Anche ammessa l'ipotesi che il Banco di Roma sia andato a Tripoli d'intesa col governo italiano, questo non vuol dire che debbano essere gli amministratori del Banco e il Corriere d'Italia ad indicare il come e il quando di una conquista militare. Il quale può avere sottomano oggi elementi di giudizio che lo consigliano nell'interesse della nazione a modificare la politica che credeva buona in quel momento in cui autorizzava il Banco di Roma ad andare a Tripoli».
Fu sempre l'istituto ad agire per una soluzione negoziata: la Sublime Porta, palazzo del Gran Visir turco, pregò Alberto Theodoli, fondatore del Banco di Roma di Costantinopoli, di portare a Roma una proposta di compromesso.
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