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Questo articolo è stato pubblicato il 26 agosto 2011 alle ore 06:40.

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È un assoluto eufemismo parlare di "destino inquietante" per la litoranea libica da 1.800 chilometri tra il confine con l'Egitto e quello con la Tunisia che un gruppo di aziende italiane guidate dalla Saipem si stavano accingendo nel marzo scorso a trasformare in un'opera faraonica per il regime di Gheddafi. C'è molto di più, quasi una maledizione.
Fino al '34 Tripolitania e Cirenaica avevano, ognuna, la propria rete stradale. Solo con la riunificazione delle due regioni dell'Africa orientale italiana si pose il problema di creare un'arteria unica di collegamento sulla costa per ragioni funzionali ma soprattutto politiche. Il 14 marzo del '35 un decreto legge fissava le modalità dell'opera divisa in 16 tronchi per iniziali 813 chilometri. Vi lavorarono mille operai italiani e 12mila maestranze locali. Nel gennaio del '37, dopo neppure un anno e mezzo, fu inaugurata. Prese il nome dal governatore Italo Balbo che fu abbattuto sul cielo di Tobruk dalla contraerea italiana il 29 giugno del '40. Da allora per tutti, italiani e libici, quella rimarrà sempre la "via Balbia".
Un segno tangibile della presenza italiana che il colonnello Gheddafi non poteva cancellare per la sua funzione strategica e che avrebbe, quindi, voluto trasformare nell'opera della riconciliazione italo-libica o, per meglio dire, in una sorta di megarisarcimento per i danni subiti durante il periodo coloniale.
Ma a fornire facili argomenti al leader sono stati proprio i governi italiani. Nel luglio del '98 il cosiddetto comunicato congiunto Dini-Shalgam si rivelava nient'altro che un duro atto di accusa (da parte italiana di pesante autocritica) contro le ingiustizie patite dal popolo libico per mano italiana. Ingiustizie talmente gravi che non erano state adeguatamente risarcite dagli accordi raggiunti dopo la fine della guerra e che andavano quindi liquidate nuovamente. Nasce da quell'ammissione di colpa italiana del '98 (giustificata, pare, solo dalla necessità di rivitalizzare un accordo Eni) tutta la storia successiva del "gesto riparatore" o "grande gesto" che poi prese la forma dell'autostrada costiera.
Nel luglio del 2001 il premier Berlusconi diede istruzione al suo ministro degli Esteri, Renato Ruggiero, che sarebbe andato nell'agosto a Tripoli, di offrire al colonnello un gesto da non più di 70 miliardi di lire, un'ospedale dove curare le vittime delle mine italiane sparse nel deserto o una tratta ferroviaria. Nonostante fosse rimasto colpito dall'insolita durezza di Ruggiero, Gheddafi alzò il prezzo. Alla fine, si capì che il grande gesto doveva essere l'autostrada. I tecnici italiani si misero al lavoro per preparare uno studio di fattibilità per la litoranea a quattro corsie. Si trattatava di un progetto da 45 miliardi di lire. Ma calò il gelo sulle trattative quando si capì che i libici non chiedevano solo il progetto ma la sua realizzazione completa. Un'opera da 3 miliardi di euro da realizzare in venti anni sulla quale il colonnello si prese anche l'arbitrio di fare qualche battuta, come quando disse a Berlusconi in conferenza stampa all'aeroporto di Tripoli: «Se farete l'autostrada le regalerò una bella villa e uno svincolo ad hoc tutto per lei». «Grazie ma mi bastano le ville che ho», rispose un po' infastidito il cavaliere.
La questione rimase aperta con il governo Prodi anche se il ministro degli Esteri, Massimo D'Alema, si era lambiccato il cervello per capire come finanziare i lavori, ipotizzando, perfino, di usare un tesoretto che la finanza pubblica allora consentiva.
Solo nell'agosto 2008 Berlusconi chiudeva l'accordo di amicizia e cooperazione con 5 miliardi di dollari in venti anni da utilizzare in opere infrastrutturali in Libia (dell'autostrada non si parlava). Un anno dopo, a Shabit Jfrai, 15 chilometri da Tripoli, Gheddafi e Berlusconi prendevano parte alla cerimonia della posa della prima pietra del collegamento tra Raiss Ajdir e Imsaad. Nel gennaio di quest'anno un consorzio guidato da Saipem si aggiudicava il primo lotto dei lavori per 835 milioni di euro. Ieri a Milano il numero due del Cnt Jibril si è limitato a dire che l'accordo di cooperazione va «rivitalizzato». Ma dell'autostrada maledetta nessun cenno.
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