Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 28 agosto 2011 alle ore 08:10.

My24


Nel sempre più caotico dibattito di questo turbolento mese di agosto intorno alla manovra finanziaria, torna insistentemente l'invito al Governo perché si adoperi finalmente per adottare misure che, almeno in prospettiva, risollevino l'economia italiana dalle secche in cui si trova impantanata da oltre un decennio. Tutti gli osservatori reclamano politiche per la crescita. Ma c'è spesso un malinteso su cosa queste siano, di quale crescita si parla, come debbano essere congegnate queste politiche e, da ultimo, perché non le si adottino: per carenza di mezzi o per mancanza di volontà?
Vi sono almeno due idee che circolano tra i proponenti di politiche per la crescita: le prime possiamo qualificarle come politiche di domanda - nel senso keynesiano del termine - politiche che contribuiscano a sostenere il livello della spesa interna, per consumi e per investimenti; e che dovrebbero, nella mente di chi le propugna, aiutare il Paese a superare più rapidamente la grande recessione e a riportarsi ai livelli di reddito pre crisi, quelli del 2008.
È bene essere chiari fin da subito: non c'è spazio per questo tipo di politiche. Il segno della nostra politica fiscale (ma anche degli altri Paesi, europei e non), misurato dalla variazione dei saldi di bilancio pubblico per i prossimi anni, è negativo. Questo, se avrà qualche effetto sarà di deprimere la domanda di beni. Dibattere intorno alla composizione della manovra con l'idea che una misura è più o meno depressiva di un'altra è occuparsi di aspetti di secondo ordine dal punto di vista del sostegno della domanda (anche se importanti dal punto di vista distributivo). L'unica spinta alla domanda può venire dalla politica monetaria della Bce e dalla disponibilità di quest'ultima a perseguire una politica di tassi bassi.
Continua u pagina 15
Il rallentamento ciclico dell'Europa, e della Germania in particolare, rende questa prospettiva più verosimile; ma si tratta di una spinta modesta.
Un secondo gruppo di sostenitori delle politiche per la crescita, al quale mi iscrivo, propugnano idee diverse, non di sostegno alla domanda ma bensì di sostegno all'offerta di beni. Chi raccomanda queste politiche non pensa tanto (o non solo) alla grave fase ciclica che attraversa il Paese ma al fatto che l'Italia cresceva poco e in modo protratto ben prima del 2008, a tassi sistematicamente più bassi degli altri Paesi europei e decisamente al di sotto del suo potenziale di crescita.
Chi reclama queste politiche ritiene che il Paese debba essere riportato lungo un trend di crescita permanentemente più ripido e questo può avvenire solo migliorando la capacità di produrre delle imprese, arricchendo il contesto in cui operano, eliminando ogni ostacolo al dispiegamento delle energie imprenditoriali, promuovendo e incoraggiando la fantasia creativa, premiando chi rende di più e chi mette più impegno in quello che fa. Alleggerendo il peso dello stato e migliorando la sua regolamentazione, eliminando quella ridondante e rafforzando quella che effettivamente contribuisce al funzionamento delle interazioni economiche e sociali. Ovvero riformando in modo duraturo l'intero contesto in cui avviene la produzione e lo scambio, adottando quelle che nel gergo, ormai quasi venuto a noia, vengono chiamate riforme strutturali.
Vi sono due aspetti importanti da mettere in luce di un programma ambizioso di trasformazione dell'offerta. Il primo è che non sono importanti le singole misure che lo compongono ma il loro insieme e la coerenza che le deve caratterizzare: contribuire ciascuna ad accrescere il buon funzionamento della macchina pubblica e privata. Né la liberalizzazione delle professioni di cui tanto si è detto, né l'inserimento di un sistema di incentivi nell'università, né lo snellimento della giustizia civile per citare alcune delle riforme più gettonate sono di per sé risolutivi, ma è il loro inserimento in un programma organico di misure da adottare - ciascuna con la tempistica richiesta - che può spingere la crescita in modo sostenuto.
Il secondo aspetto è che un programma di trasformazione dell'offerta anche se dispiega i suoi effetti sull'economia lentamente può avere notevoli effetti immediati. Non occorre aspettare che una riforma del sistema di ricerca si sia tradotta in un aumento del flusso annuo di brevetti per trarre beneficio dalla riforma. Quegli effetti verranno anticipati, incorporati nelle aspettative di reddito a medio termine e sosterranno la domanda di consumo e di investimento oggi. È questo effetto keynesiano delle politiche di offerta che dovremmo perseguire.
Al Governo non chiediamo di fare niente di nuovo. Solo di fare oggi quello che avrebbe dovuto fare ieri, che a sua volta è quanto avrebbe dovuto fare avant'ieri e che anche oggi continua a posporre a domani mancando al suo dovere primario: decidere per il bene comune.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Shopping24

Dai nostri archivi