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Questo articolo è stato pubblicato il 30 agosto 2011 alle ore 17:04.

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Toghe contro la manovra aggiuntiva varata dal Governo. «È del tutto evidente l'incostituzionalità di una disposizione con la quale si opera
una decurtazione secca del trattamento economico solo dei dipendenti pubblici, in violazione dei principi di eguaglianza e di progressività del sistema fiscale». Dal Comitato intermagistrature, che coordina
l'Associazione nazionale magistrati e le principali sigle rappresentative della magistratura contabile e amministrativa, tra cui l'Avvocatura dello Stato, arriva così una durissima bocciatura del decreto 138. In attesa di conoscere nel dettaglio il testo definitivo delle modifiche alla manovra, il
Comitato si riserva «l'adozione di iniziative di protesta, nessuna esclusa», con implicito riferimento a un eventuale sciopero delle toghe.

No alla super Irpef: così non si colpiscono gli evasori e i patrimoni illeciti
Il Comitato intermagistrature, con una nota, preannuncia quindi sulla manovra un'opera di «sensibilizzazione dell'opinione pubblica sui temi della funzionalità del sistema giudiziario». In particolare, sul cosiddetto contributo di solidarietà i sindacati delle "toghe" ribadiscono «assoluta contrarietà» a «misure che incidono unicamente sul pubblico impiego senza colpire gli evasori fiscali (già beneficiati da numerosi condoni), i patrimoni illeciti, le grandi rendite e le ricchezze del settore privato e le fonti di spreco delle risorse più volte segnalate».

I tagli alle retribuzioni pubbliche sono incostituzionali
I magistrati contestano dunque soprattutto la scelta di caricare i sacrifici sulle spalle degli statali. «Partecipare consapevolmente allo sforzo di risanamento richiesto al Paese - si sottolinea - non significa accettare l'iniquo mantenimento dei tagli alle retribuzioni pubbliche, già previste dall'articolo 9, comma 2, del decreto legge 78/2010 che proprio quel contributo di solidarietà, estendendone la disciplina a tutto il settore del lavoro dipendente (pubblico e privato), esplicitamente abrogava in ragione della nuova e unitaria previsione normativa che richiedeva a tutti i lavoratori dipendenti (pubblici e privati) la partecipazione al risanamento delle pubbliche finanze in un momento di particolare crisi come quello attuale». Appare privo di ratio e contrario al principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione, conclude quindi il Comitato, «considerare il taglio delle retribuzioni oltre i 90.000-150.000 euro come "odiosa tassa" da evitare per il solo settore privato e, per converso, quale necessario risparmio di spesa pubblica in relazione ai lavoratori del settore pubblico».

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