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Questo articolo è stato pubblicato il 31 agosto 2011 alle ore 21:13.

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Si allarga il fronte contro il Porcellum, Fli spaccato. Nella foto il presidente della Camera, Gianfranco FiniSi allarga il fronte contro il Porcellum, Fli spaccato. Nella foto il presidente della Camera, Gianfranco Fini

Si allarga il fronte del referendum abrogativo della legge elettorale. E arriva a spaccare, dopo il Pd, anche Fli. Mentre Pierferdinando Casini imbocca decisamente con la sua Udc la via parlamentare, invitando Pier Luigi Bersani a discutere lì della cancellazione del Porcellum, a partire dalla proposta di legge Pd. Ma tra i democratici si allargano di ora in ora le fila di chi vorrebbe un sostegno esplicito del partito ai quesiti. E domani Dario Franceschini, nella riunione del coordinamento, chiederà al segretario di cambiare rotta: «Lanciamo tutto il Pd nella battaglia referendaria».

Le divisioni tra i finiani sul fronte elettorale emergono in serata. Al termine di una riunione dell'ufficio politico, Fabio Granata dichiara infatti che Fli «sosterrà» i quesiti. Ma il deputato viene a stretto giro corretto dal vicepresidente Italo Bocchino, che spiega che tra i dirigenti sono emerse «posizioni diversificate». E aggiunge che «c'è il convincimento» che il Porcellum vada cambiato, ma «non è il referendum lo strumento più adatto in una materia dove partiti e Parlamento dovrebbero prendersi le proprie responsabilità».
Su quest'ultimo punto non ha dubbi l'Udc, che non ci pensa proprio ad avallare l'abolizione referendaria del Porcellum e tornare così al Mattarellum. «Stiamo parlando del nulla - taglia corto Pier Ferdinando Casini - la Consulta non potrà mai accettare un referendum con questa impostazione».

Il leader Udc abbraccia dunque la via di una riforma parlamentare della legge elettorale. E offre una sponda a Bersani, dichiarando la disponibilità del suo partito a discutere nelle commissioni di Camera e Senato la proposta presentata dal Pd.
Perplesso sul referendum anche Massimo D'Alema, che definisce la proposta parlamentare del Pd «un buon punto di partenza». La posizione del Pd sarà comunque discussa e definita domani, in una riunione del coordinamento del partito. Bersani ancora ieri si è detto convinto che sul referendum bisogna «lasciare lavorare la società civile». Ma Dario Franceschini ribatte che «nessuno capirebbe una prudenza del Pd ad appoggiare un'iniziativa che vuol restituire ai cittadini il diritto di scegliersi chi deve rappresentarli».

Dunque il capogruppo alla Camera, deciso a firmare i quesiti, chiederà al segretario di lanciare da subito l'intero partito nella campagna referendaria. Ma sul punto i democratici sono divisi, perchè se Piero Fassino oggi fa seguire la sua firma a quelle di Romano Prodi e Walter Veltroni, c'è chi, come i fioroniani, chiede invece di seguire la via parlamentare.
Un invito a stemperare i «toni eccessivi» del dibattito interno arriva però da Marco Meloni, responsabile nel partito per la riforma dello Stato, che sottolinea: «Sottoscrivere il referendum non significa tornare indietro rispetto alla proposta di legge del Pd. Le due cose possono stare insieme».

Intanto Antonio Di Pietro, che i banchetti referendari li ha inaugurati da settimane, usa l'arma dell'ironia: «Ringraziamo le grandi personalità che finalmente hanno apposto le loro firme del giorno dopo, però vengano a raccogliere con noi le altre 499.999 sottoscrizioni necessarie».

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