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Questo articolo è stato pubblicato il 31 agosto 2011 alle ore 12:36.

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Filippo PenatiFilippo Penati

Questa volta c'era davvero tutti, o quasi. A Milano alla prima direzione provinciale del Pd post caso Penati si sono visti anche quelli che da tempo alle riunioni non mettevano piede. Compresi deputati, senatori e sindaci dei più importanti comuni della zona. Molti gli iscritti a parlare, tanto che la direzione non si è chiusa ma è stata riconvocata per la prossima settimana. Tutti impegnati nella difesa del partito. Che in questa fase, politicamente parlando, si sente sotto attacco. Non da parte della magistratura ma dagli avversari in politica, gli antagonisti di sempre o i rivali (possibili) di domani.

Da giorni in molti nel partito (segretario compreso) chiedono a Filippo Penati di rinunciare alla prescrizione. Poche le voci discordi. Qualche dubbio su quest'opportunità lo ha sollevato su Europa in un editoriale il direttore, Stefano Menichini. E ora anche Michele Emiliano, sindaco di Bari (intervenuto a La Zanzara su Radio 24) dice che «nessuno, meno che mai il partito, ha diritto di chiedere ad una persona sottoposta a indagine di rinunciare a un suo diritto processuale». «Sbaglia il partito a chiedere le dimissioni - aggiunge Emiliano - perché non può. Il partito non è una religione o l'esercito della salvezza».

Filippo Penati, alla richiesta di rinunciare alla prescrizione risponde con una lettera letta integralmente nella riunione dei democratici di ieri sera, indirizzata al presidente della direzione provinciale, Ezio Casati e al segretario metropolitano, Roberto Cornelli. «Se, al termine delle indagini che tuttora sono in corso, tutto non verrà chiarito, non sarò certo io a nascondermi dietro la prescrizione» dice l'ex presidente della Provincia di Milano. Parole accolte con freddezza, in pochi applaudono, ma nessuno dice apertamente che Penati se ne debba andare.

Come accade a livello nazionale, anche a Milano la presa di distanza dall'ex sindaco di Sesto San Giovanni è chiara. Lo choc resta ma il Pd milanese si sforza di guardare al futuro e pone le basi per una conferenza programmatica che faccia da ponte per la costituzione di una nuova classe dirigente. E vada oltre le possibili rese dei conti nel partito o l'emersione di personalismi, che già sono nell'aria. Insomma si guarda, più o meno apertamente, a un nuovo gruppo dirigente. E molti occhi sono puntati su Stefano Boeri, campione di preferenze alle amministrative, sindaco mancato (fu Pisapia a vincere le primarie), assessore non pienamente soddisfatto delle deleghe assegnategli. Che, entrato in corsa da professionista (non della politica), sta dimostrando capacità apprezzate tra i democratici.

«Riteniamo la legalità una precondizione del fare politica», dice il segretario metropolitano, Roberto Cornelli. «I nostri bilanci - puntualizza - sono assolutamente in regola e senza ombre, non abbiamo ricevuto finanziamenti illeciti, svolgiamo la nostra attività politica in modo trasparente, onesto e con passione».
Dalla direzione provinciale arriva la solidarietà incondizinata a Pierfrancesco Maran, assessore alla Mobilità della Giunta Pisapia, attaccato perchè considerato un pupillo di Penati. Maran lo ha chiarito da subito: pressioni da Piero Di Caterina e Antonio Rugari ne ha ricevute, ma ha rifiutato di ricevere il primo e negato una collaborazione al secondo.

Proprio ieri, poco prima della direzione provinciale Pd, sono emersi nuovi sviluppi del troncone dell'inchiesta della Procura di Monza che riguarda la Milano Serravalle. Quello relativo all'acquisto nel 2005 da parte della Provincia di Milano, allora guidata da Penati, del 15% delle quote dell'autostrada Milano-Serravalle detenute dal Gruppo Gavio. Vicenda per la quale anche un manager del Gruppo Intesa San Paolo, Maurizio Pagani, è finito nel registro degli indagati con l'accusa di concorso in corruzione. Anche a questi risvolti dell'inchiesta i democratici guardano con attenzione, consci che potrebbero avere nuovi echi pesanti sul partito.

A livello politico un passaggio importante sarà quello dell'8 e 9 settembre, quando il consiglio comunale di Sesto San Giovanni discuterà la delibera del Programma integrato di intervento sulle aree ex Falck e scalo ferroviario, già esaminata dalla giunta. Nell'ex Stalingrado d'Italia la tensione si taglia con il coltello. Il sindaco, Giorgio Oldrini, ha ribadito che come primo cittadino ha «cercato di amministrare» la città, ma non ha commesso alcun reato. E ha sottolineato di non aver ricevuto «fino ad ora» alcun avviso di garanzia. Oldrini è al secondo mandato e a maggio a Sesto ci sono le elezioni amministrative. La possibilità di perdere un comune tanto importante (nella zona è secondo solo all'area di Monza e provincia quanto a numero dei residenti), roccaforte storica della sinistra italiana, per i democratici sarebbe uno smacco non da poco.

Intanto il Comune di Sesto é pronto a costituirsi parte civile nell'eventuale processo che potrebbe prendere il via sul presunto giro di tangenti nella riqualificazione urbanistica dell'ex area Falck, «se e quando ci sarà un rinvio a giudizio di persone accusate di avere agito contro la Pubblica amministrazione di Sesto San Giovanni». La decisione é stata presa nella seduta di ieri dalla Giunta comunale.

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