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Questo articolo è stato pubblicato il 02 settembre 2011 alle ore 06:42.

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NAPOLI
Sarà la relazione tecnica sul tenore di vita di Marco Milanese uno degli snodi da cui, presumibilmente, dipenderà l'andamento della votazione della Giunta per le autorizzazioni della Camera, che si riunirà il 7 settembre prossimo per leggere le nuove carte in arrivo da Napoli e avviare la discussione sulla richiesta d'arresto nei confronti del deputato indagato per associazione per delinquere, rivelazione di segreto e corruzione.
I legali di Milanese si impegneranno a dimostrare che il dossier integrativo firmato dal perito della Procura partenopea (l'inchiesta è condotta dal pm Vincenzo Piscitelli) in cui c'è scritto che i lussi del parlamentare Pdl sarebbero incompatibili con il suo pur elevato reddito si basa su fondamenta fragilissime, che non terrebbero conto di elementi di fatto, a loro dire, inoppugnabili. In sostanza che le dichiarazioni fiscali degli ultimi anni proverebbero - secondo i legali - che Milanese poteva contare su flussi economici rilevanti anche prima del suo ingresso in politica (360mila euro nel 2005, 500mila nel 2006, 713mila nel 2007 e 400mila l'anno successivo). Soldi leciti, e non proventi di dazioni illegali, come ipotizzato dall'accusa, che gli avrebbero consentito l'accensione di leasing per auto e barche di lusso. Commenta, proprio riguardo alle indiscrezioni di stampa sulle spese pazze del suo assistito, l'avvocato Bruno Larosa: «Alle chiacchiere non si risponde, noi abbiamo portato fatti e attendiamo i fatti in risposta alle nostre richieste».
Il riferimento è alla domanda avanzata al pm di acquisizione dei tabulati telefonici dell'assicuratore Paolo Viscione, che agli investigatori ha raccontato dell'influenza e del potere del politico in determinati ambienti giudiziari tali da consentirgli di conoscere notizie ancora coperte da segreto e di utilizzarle, secondo la ricostruzione della Procura, come potenziale arma di arricchimento personale o di ricatto. Una versione seccamente smentita dagli avvocati di Milanese, che punterebbero invece a dimostrare che a informare Viscione delle indagini a suo carico fosse addirittura un magistrato.
A Montecitorio, nelle scorse settimane, sono invece già arrivati da Napoli gli atti di un vecchio procedimento nei confronti di Viscione, aperto dalla Procura di Benevento, che sarebbe stato oggetto di una prima fuga di notizie. Procedimento poi archiviato dai magistrati sanniti dopo un iniziale trasferimento alla Direzione distrettuale antimafia di Napoli. Si tratta di decine di faldoni, contenenti migliaia di pagine di una indagine risalente agli anni Duemila, la cui acquisizione è stata chiesta dagli stessi legali di Milanese per smontare alcune delle dichiarazioni accusatorie dell'assicuratore, soprattutto in relazione al nome del pm che l'avrebbe istruito (D'Avino e non Ardituro, come sostiene Viscione sulla base della presunta soffiata fattagli dal parlamentare).
Quanto, invece, all'ipotesi che Milanese abbia potuto svuotare le quattro cassette di sicurezza di Roma e Milano prima che fosse pubblica l'indagine a suo carico, lo stesso politico aveva sostenuto nella sua memoria difensiva: «Anche la stampa, su questo punto, ha anticipato che in occasione dell'arresto di Viscione (avvenuto intorno al 20 dicembre 2010, ndr) il pubblico ministero avrebbe accertato che avrei aperto quelle cassette: certamente! Come chiunque, quando nell'approssimarsi delle feste di Natale, apprestandosi a lasciare per qualche giorno la propria abitazione, pensa bene di fare di quelle cassette l'uso che ne è proprio».
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