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Questo articolo è stato pubblicato il 04 settembre 2011 alle ore 08:12.

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TRIPOLI. Dal nostro inviato
Lungo la strada costiera che conduce da Tripoli a Misurata c'è un traffico inusuale per un Paese come la Libia. Davanti ai numerosi distributori di benzina ci si imbatte in interminabili file. Sotto il sole rovente, da due giorni i libici attendono di riempire i serbatoi. Qualcuno chiede quando arriverà la benzina italiana. Anche tra le gente è corsa voce dell'accordo che l'Eni ha siglato lunedì con il Consiglio nazionale di transizione della Libia(Cnt). Per venire incontro all'emergenza la major italiana si è impegnata a fornire quantità cospicue di prodotti finiti (benzina, gasolio, lubrificanti) in acconto sulle prossime forniture dalla Libia di idrocarburi "grezzi".
La benzina è una priorità. Sul mercato nero costa venti volte di più rispetto ai prezzi, irrisori, di sei mesi fa. Un paradosso per la Libia, il Paese con le più vaste riserve di greggio dell'Africa in cui l'Eni ha sempre giocato la parte del leone come primo operatore. Oggi, però, le carte si stanno sparigliando. «Quel che occorre è che l'Italia rimanga, come è sempre stata, primo partner della Libia», ha dichiarato ieri da Cernobbio il ministro degli Esteri Franco Frattini, aggiungendo: «Abbiamo confermato gli impegni: per ottobre saremo in grado di far ripartire la produzione (gas, ndr) di quello che era sotto il controllo dell'Eni». Un riferimento alla riattivazione del gasdotto sottomarino Greenstream, che collega la Sicilia alle coste libiche. Mentre Frattini annuncia lo scongelamento, entro 15 giorni, di 2,5 miliardi di beni.
I tempi per riattivare i giacimenti petroliferi saranno più lunghi. E ci vorranno almeno 15-18 mesi per tornare ai livelli produttivi precedenti la rivolta, 1,6 milioni di barili al giorno, ha reso noto il ministero del Petrolio libico, ieri ufficialmente riaperto a Tripoli nonostante le ostilità siano ancora in atto (i ribelli hanno dichiarato che questa mattina sferreranno l'offensiva a Bani Walid, dove potrebbe nascondersi Gheddafi).
Nei giorni scorsi i ministri del Cnt hanno precisato che saranno rispettati i contratti firmati in precedenza. Ma sono quelli futuri a scatenare gli agguerriti competitors stranieri. Perché in Libia, metà del sottosuolo non è stato ancora esplorato, e le premesse sono davvero incoraggianti. Il Cnt lo ha smentito, ma corre voce che in pole position ci siano i francesi.
Gli altri paesi non stanno comunque a guardare. Inclusi quelli che avevano riconosciuto come legittimo interlocutore il regime di Gheddafi anche durante la repressione, come la Russia, che però ha appena riconosciuto il Cnt, e la Cina, che invece resta il solo Paese con diritto di veto al Consiglio di Sicurezza dell'Onu a non averlo ancora fatto. Il ministro degli Esteri russo, Serghej Lavrov, ha reso noto di aver invitato i rappresentanti del Cnt, a Mosca per discutere di energia e dei futuri contratti petroliferi. Mentre incontrando il numero due del Cnt, Mahmoud Jibril, il viceministro degli Esteri cinese Zhai Jun ha chiesto di «garantire gli interessi delle imprese cinesi in Libia».
La dissoluzione del regime riporta intanto alla luce molti documenti scomodi. Come quelli trovati a Tripoli sugli stretti rapporti di collaborazione intrattenuti con l'entourage di Gheddafi nell'ultimo decennio dai servizi segreti occidentali, compresi Cia e Mi6 britannico.
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