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Questo articolo è stato pubblicato il 10 settembre 2011 alle ore 08:10.

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BRUXELLES. Dal nostro corrispondente
C'era un tempo in cui Konrad Adenauer diceva dei banchieri centrali della Bundesbank che erano dei «frigoriferi», insensibili a qualsiasi cosa che non fosse la stabilità monetaria. Con le sue clamorose dimissioni ieri dal comitato esecutivo della Banca centrale europea, Jürgen Stark ha confermato per certi versi la definizione del vecchio cancelliere tedesco, in una nuova puntata del rapporto tra potere politico e potere monetario in Germania.
Ufficialmente, il banchiere centrale tedesco ha deciso di lasciare il comitato esecutivo della Banca centrale europea per «motivi personali». In realtà, è molto probabile che dietro alla sua scelta ci sia l'incapacità di accettare gli acquisti di obbligazioni pubbliche da parte della Bce. Agli occhi di un Bundesbanker, la decisione è anatema; si traduce inevitabilmente in una monetizzazione del debito e in una perdita di indipendenza della banca centrale dal potere politico.
La scelta plateale di Stark era per molti versi prevedibile. Nato nel 1948 nella Renania Palatinato, in una famiglia di viticoltori di religione protestante, il banchiere centrale ha partecipato in prima persona alla nascita dell'Unione monetaria, prima come segretario di stato al ministero delle Finanze e poi come vice presidente della Bundesbank. Fu lui a disegnare il patto di stabilità e di crescita, poi annacquato per mano fratricide dallo stesso Governo Schröder.
Intervistato dal Sole 24 Ore nel gennaio 2010, quando la crisi greca era già scoppiata, Stark aveva spiegato perentoriamente: «I Trattati prevedono la clausola di non salvataggio e le regole vanno rispettate. È un aspetto cruciale per garantire il futuro di un'unione monetaria tra Paesi sovrani con bilanci nazionali. I mercati si illudono quando pensano che a un certo punto gli altri Stati metteranno mano al portafoglio per salvare la Grecia». Le cose sono andate diversamente.
D'altro canto qualche anno fa un suo vecchio collega, Johannes Ludewig, aveva spiegato che Stark è impregnato di intellektuelle Redlichkeit, integrità intellettuale, come emerge anche dalla scelta di ieri. L'uomo appare freddo e distaccato, quasi ostile. È in realtà carico di emozioni, nulla a che vedere con un frigorifero. Nel contempo però la sua decisione conferma la definizione di Adenauer, mostrando non solo una spaccatura del consiglio direttivo della Bce, ma anche un contrasto con il potere politico.
Già le dimissioni di Axel Weber dalla presidenza della Bundesbank all'inizio dell'anno avevano mostrato «l'isolamento della banca centrale tedesca nel consiglio direttivo della Bce», secondo le parole di Hans-Werner Sinn, il presidente dell'Istituto Ifo. La scelta di Stark non fa che confermare questa situazione. Ma emerge anche un altro diverbio, quello con il mondo politico, se è vero che il Governo federale ha dato il suo appoggio agli acquisti di obbligazioni da parte della Bce.
Gli ultimi mesi hanno messo in scena da un lato la disponibilità della politica a fare compromessi e dall'altro l'impegno della Bundesbank a difendere le regole dell'unione monetaria. Non è il primo contrasto. Quante volte nel secondo dopoguerra i cancellieri tedeschi hanno fatto pressione sulla banca centrale tedesca per una politica monetaria più accomodante? E non fu lo stesso Helmut Schmidt a imporre obtorto collo alla Bundesbank di garantire una linea di credito all'Italia nel 1974?
Non è un caso se il dimissionario Weber è stato sostituito da Jens Weidmann, un ex consigliere economico del cancelliere Angela Merkel, e se il sostituto dello stesso Stark potrebbe essere un vice ministro delle Finanze, Jörg Asmussen. Non si tratta per il Governo di prendere spudoratamente il controllo della Bundesbank, ma probabilmente di gestire un passaggio delicatissimo nel quale a rischio ormai è la credibilità stessa della classe politica tedesca.
Paradossalmente le dimissioni di Stark offrono letture diverse. Da un lato mettono drammaticamente a nudo l'opposizione di una certa Germania al modo in cui l'unione monetaria sta evolvendo. Dall'altro però rivelano quanto il Governo Merkel si sia affrancato in questi mesi, nonostante colpevoli lentezze, da molti principi economici tedeschi. La battaglia tedesca non è finita, l'esito è tutto da capire, ma è chiaro che dal risultato finale dipenderà il futuro dell'Europa.
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DOPPIE DIMISSIONI
L'abbandono di Weber
Le dimissioni di Jürgen Stark seguono di pochi mesi quelle del presidente della Bundesbank Axel Weber, che a febbraio aveva lasciato l'incarico (e quindi il seggio nel consiglio direttivo della Bce che spetta ai governatori dell'Eurozona), quando era ancora in corsa per la guida della Banca centrale europea, in lizza con Mario Draghi
Sia Weber che Stark si erano opposti fin dall'inizio all'acquisto di titoli di Stato da parte dell'Eurotower e si erano espressi per una stretta sui tassi d'interesse. In particolare Weber, alcuni mesi prima di dimettersi, aveva criticato apertamente la scelta dei suoi colleghi nel consiglio direttivo della Bce di acquistare obbligazioni sui mercati per raffreddare le tensioni
E quello di Stark
Anche le dimissioni annunciate ieri da Stark, a sua volta scuola Bundesbank, sono da ricondurre al dissenso nei confronti delle decisioni prese dalla Banca centrale europea, dissenso che avrebbe assunto toni sempre più accesi nei giorni scorsi, alimentati dalle operazioni effettuate a sostegno dei titoli di Stato italiani

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