Se la primavera finisce in anarchia

La manifestazione doveva essere contro Mubarak e un processo che i militari starebbero pilotando per impedire una sentenza contro l'ex dittatore. Ma alla fine i giovani del Cairo sono arrivati davanti all'ambasciata israeliana, non molto distante da piazza Tahrir. Lo hanno fatto perché il mese scorso gli israeliani avevano ucciso per errore tre soldati egiziani al confine. A Gerusalemme il governo si era ampiamente scusato.

Ma soprattutto perché nella rivoluzione araba - almeno in Egitto - Israele, cioè l'occupazione della Cisgiordania e la questione palestinese sono sempre state sotto traccia. Prima o poi l'ostilità verso Israele sarebbe salita alla superficie. Frustrazione per una Primavera a metà del guado, liberatasi dei vecchi regimi ma ancora lontano dal nuovo, incertezza degli obiettivi democratici. Come ieri per altre delusioni, il "nemico" israeliano serve sempre come valvola di sfogo. Questo governo di Bibi Netanyahu, ottusamente ostile a qualsiasi apertura di pace e a gesti di simpatia verso gli arabi e il resto del mondo, si presta particolarmente come obiettivo delle frustrazioni degli altri. E' per questo che dopo aver sostenuto fino alla fine Mubarak – preferendo le considerazioni sulla propria sicurezza alla valutazione sull'importanza della rivolta - dopo aver perso la decisiva alleanza strategica con la Turchia, Israele si trova isolato come non accadeva dal 1973, l'ultima grande guerra arabo-israeliana.

Anche per l'Egitto il problema è serio e sempre più grave. Si è presa d'assalto un'ambasciata, si è sparato attorno all'università nel cuore del Cairo. Nessun Paese può vivere una transizione e costruire le istituzioni di una società civile e democratica in mezzo all'anarchia. Fino ad ora è previsto che a novembre si svolgano le prime elezioni democratiche per il parlamento, seguite di qualche mese da quelle per il presidente. Ma l'Egitto oggi sembra più vicino alla legge marziale che a libere elezioni.

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