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Questo articolo è stato pubblicato il 17 settembre 2011 alle ore 09:32.

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Dentro Palazzo Koch gira una leggenda: i più grossi speculatori nazionali e internazionali, quelli in grado di mettere in ginocchio un Paese mettendo sotto pressione valute, spread e Borse, lui li conosce uno ad uno. E pare sappia bene come trattarli.
Fabrizio Saccomanni, sempre più vicino alla nomina a Governatore della Banca d'Italia, è forse uno degli italiani più conosciuti nei consessi economici e finanziari internazionali, e allo stesso tempo non fa sconti alle banche nostrane se non rigano dritte. Ma soprattutto è il nome a cui la Bce àncora l'apertura di credito all'Italia.

L'ormai probabile nomina è anche frutto di un braccio di ferro politico tra Giulio Tremonti ‐ che preferiva Vittorio Grilli ‐ e Mario Draghi, che poco dopo l'arrivo in banca d'Italia chiamò Saccomanni accantò a sé dopo un periodo di 'esilio' all'estero. Se andrà in porto, come ormai appare quasi certo, quella di Saccomanni è la nomina della continuità del periodo di Draghi - improntato al rigore della vigilanza sul settore creditizio, tanto che le banche se avessero potuto esprimere una opinione avrebbero preferito Grilli - ma è anche il ritorno alla tradizione secondo cui Palazzo Koch esprime al suo interno il proprio capo. E su questo Saccomanni è uomo-Bankitalia dalla testa ai piedi, espressione di quell'ala cresciuta sotto Carlo Azeglio Ciampi, un po' intellettuale, interdisciplinare, per certi versi anche un po' anticonformista, ironica e brillante.

Che capisce al volo la politica ma non la frequenta, interpreta i segnali e li traduce in azione. Come quando - era il terribile 1995, i giorni in cui la lira piombò ai minimi sul marco - e alla banca centrale fu chiaro che erano anche le banche italiane a speculare contro la propria moneta. «Dobbiamo dare una mazzata a chi vuole il male del Paese» pare abbia detto al governatore Antonio Fazio. E così mentre veniva alzato il tasso di sconto di un quarto di punto il costo delle anticipazioni a scadenza fissa - strumenti insostituibile per il finanziamento del sistema bancario - schizzò dello 0,75%, un'enormità. Risultato: il movimento speculativo si sgonfiò.
Le banche devono temerlo? Di certo se saranno necessarie ulteriori capitalizzazioni o misure di consolidamento non mancherà di fare il proprio lavoro di responsabile in testa della vigilanza, ma ormai sempre più in un'ottica internazionale, perché l'Italia deve rafforzarsi nella piattaforma europea.

Non gli difetta lo humor, che probabilmente alimenta nella frequentazione del quartiere Trastevere, dove abita da anni. Era il 1990 e all'Italia era affidata la guida della presidenza di turno della Comunità. L'Economist ci andò giù duro: «È come salire su un bus guidato da Groucho Marx». E lui, all'epoca 'ministro degli esteri' della Banca d'Italia, non si perse d'animo e in un articolo spiegò come questo pulmann sarebbe stato condotto. Firmato Groucho Marx. L'articolo arrivò al vero ministro, Gianni De Michelis, che lo mandò all'Economist e fu pubblicato con grande evidenza. Episodio rivelatore di una destrezza politica non comune tra le silenziose stanze della banca centrale, una attitudine che lo ha portato anche a ricoprire incarichi internazionali come capo della task force per i Balcani dopo gli accordi di Dayton.

Una vita spesa con la valigia in mano a rappresentare l'Italia, esperienza che ha messo a frutto come direttore generale in un periodo in cui il mondo è stato investitito da un crisi da cui uscirà profondamente cambiato. Draghi ci ha creduto sin dall'inizio, ha puntato di lui, e Saccomanni ha dato prova di tenuta, sia all'interno della banca che all'esterno. Su di lui risulta piena convergenza dei membri del Consiglio Superiore, che lo hanno incontrato lo scorso 6 settembre quando, in via del tutto informale e riservata, Draghi li ha convocati per fare il punto su crisi dei mercati e andamenti economici. Nulla è stato detto sulla nomina, ma a quel punto è apparso chiaro che il successore con ogni probabilità era lì, davanti a loro.

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