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Questo articolo è stato pubblicato il 17 settembre 2011 alle ore 08:13.

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Nulla da fare anche ieri: i legali di Silvio Berlusconi non rinunciano alla condizione di "assistere" il presidente del Consiglio nella sua deposizione di fronte ai pm di Napoli. Anzi, lo pretendono. Di essere ascoltato da solo, non se ne parla. Ma in Procura insistono: Berlusconi va sentito in quanto "persona informata dei fatti" e, come tale, la sua testimonianza non può essere "assistita" da un avvocato. Respinta al mittente, quindi, anche la tesi sostenuta ieri da Niccolò Ghedini e Piero Longo, secondo cui Berlusconi potrebbe essere interrogato in qualità di "imputato in un procedimento connesso" (il Rubygate) e quindi essere affiancato dai suoi difensori. Non se ne parla, ha ribattuto la Procura: il presidente del Consiglio allo stato non è indagato ma è, e resta, "parte offesa" (della presunta estorsione Tarantini-Lavitola) e, dunque, va sentito da solo. Conclusione: «Silvio Berlusconi non si presenterà davanti ai Pm di Napoli per difformità interpretative tra la Procura e la difesa», ha sintetizzato a metà giornata Longo. «Ne prendiamo atto», ha risposto il procuratore capo di Napoli Giovandomenico Lepore.
I pm hanno dato tempo a Berlusconi fino a domani per presentarsi a deporre. Ma a questo punto è difficile che cambi scenario. Lunedì i magistrati si riuniranno per decidere il da farsi, se cioè dar seguito oppure no all'accompagnamento coattivo del testimone-Berlusconi, previa però richiesta di autorizzazione alla Camera. Più o meno nelle stesse ore di lunedì, il premier sarà invece al palazzo di giustizia di Milano, per il processo Mills, in cui è imputato di corruzione giudiziaria. Prima aveva fatto sapere pubblicamente che non sarebbe andato all'udienza perché impegnato a preparare la prossima visita negli Usa, ma in serata i suoi difensori hanno infatti annunciato un «cambio di programma». Che è uno schiaffo ai pm di Napoli.
In attesa di capire come si sbloccherà la situazione sul fronte giudiziario, il Pdl continua il pressing sul ministro della Giustizia Nitto Palma perché mandi a Napoli gli ispettori: ieri, alle due interpellanze Costa-Contento in cui si denunciano «scorrettezze» e «forzature» dei pm, si è aggiunta quella di Luigi Vitali, sempre per sollecitare l'ispezione ministeriale. Pronta la replica del Pd che, con un'interrogazione parlamentare, chiede al ministro come sia possibile che Arcibaldo Miller sia ancora il capo degli ispettori: per la sua conoscenza con Berlusconi (che gli propose anche una candidatura a senatore o a sindaco di Napoli) e per il suo coinvolgimento nell'inchiesta P3, «non garantisce terzietà», afferma il Pd.
La controffensiva Pdl potrebbe approdare anche a un documento politico anti-pm. Intanto i capigruppo di Camera e Senato, Fabrizio Cicchitto e Maurizio Gasparri, si appellano a Giorgio Napolitano e a Michele Vietti, in quanto presidente e vicepresidente del Csm, affinché «esercitino la massima vigilanza», poiché la situazione «è molto grave e preoccupante». Vietti risponde a stretto giro di posta che il Csm è «sempre stato ed è vigile, ovviamente nel rispetto delle norme che regolano i procedimenti giurisdizionali» e ricorda di aver fatto un «esplicito richiamo al dovere di discrezione e di segretezza» già nel plenum del 7 settembre scorso.
Tra le contromosse, anche quella di rimettere in moto il ddl intercettazioni, peraltro già previsto nel calendario d'aula della Camera a fine settembre. La Lega sembra disposta ad appoggiare l'alleato: Umberto Bossi dice «basta di intercettare la gente» e Roberto Calderoli fa sapere che la legge va fatta «subito» invece che continuare a parlarne. Il testo non è stato inserito all'ordine del giorno della prossima settimana, ma ciò non toglie che il governo possa chiedere una corsia privilegiata per approvarlo «in tempi rapidi», se necessario anche stralciando la parte sui divieti di pubblicazione degli ascolti per farla camminare più velocemente di quella sui requisiti per intercettare.
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