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Questo articolo è stato pubblicato il 24 settembre 2011 alle ore 08:10.

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Sono passati ormai tre anni dal collasso della Lehman Brothers, che diede il via alla fase più acuta della crisi finanziaria. Il mondo finanziario oggi è un luogo più sicuro di com'era allora?
Nel giro di pochi giorni dopo gli attacchi terroristici dell'11 settembre 2001, gli Stati Uniti misero in piedi nuove e rigorosissime misure di sicurezza negli aeroporti di tutto il Paese. Dopo un mese, i militari Usa erano già in Afghanistan. Dopo tre anni, Washington pubblicò un rapporto ufficiale sulle cause dell'11 settembre: la commissione che lo aveva redatto, provvista di ampi fondi, indicava i punti deboli delle agenzie di sicurezza Usa e forniva raccomandazioni su come mettervi rimedio.
E che cosa abbiamo tre anni dopo l'inizio della crisi finanziaria? Sì, l'America ha le duemila pagine della legge Dodd-Frank da sbandierare come prova dei suoi sforzi: peccato, però, che ben poche di quelle pagine affrontino i problemi che si sospetta siano all'origine della crisi. La questione del ruolo preponderante delle agenzie di rating (normalmente meno severe con gli emittenti potenti) nell'orientare gli investimenti degli obbligazionisti non è stata risolta.
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La dipendenza del settore bancario-ombra dalla liquidità e dalle garanzie del settore bancario ufficiale, e quindi in ultima analisi dallo Stato, non è stata nemmeno presa in considerazione; e i limiti massimi all'indebitamento delle società finanziarie cambieranno solo nel prossimo decennio. L'elenco delle insufficienze non si ferma qui: il sistema perverso che incentiva i fondi d'investimento specializzati nel mercato monetario ad assumersi rischi eccessivi non è stato quasi toccato; i problemi legati alla retribuzione a incentivo sono stati ignorati; la novità più sbandierata - il divieto per le banche commerciali di fare compravendita di titoli in proprio oltre un certo limite (nota anche come Volker Rule, dal nome dell'ex presidente della Federal Reserve Paul Volker) - non ha niente a che vedere con le cause della crisi, e molto probabilmente è stata approvata perché è inefficace.
La commissione d'inchiesta sulla crisi, presieduta da Phil Angelides, un rapporto l'ha prodotto, anzi ne ha prodotti tre. La commissione Rogers, che indagò sulle cause del disastro dello Space Shuttle, aveva prodotto un solo rapporto; avevano collaborato alle indagini le migliori menti dell'epoca, tra cui il premio Nobel della fisica Richard Feynman, e per trovare la causa del disastro avevano cercato in ogni direzione, fino a individuare con certezza il colpevole: una guarnizione difettosa che era diventata troppo rigida a basse temperature, provocando una fuga; per convincere la cittadinanza, Feynman dimostrò le conclusioni della commissione con un esperimento in diretta televisiva.
L'economia non è una scienza esatta come la fisica, ma questo non può giustificare il fallimento della commissione Angelides. Noi economisti, a patto di poter contare su dati sufficienti, abbiamo dei metodi per individuare le cause probabili di un fenomeno economico. E soprattutto siamo in grado di confutare altre possibili spiegazioni. Il limite maggiore sta nella disponibilità di dati, non nelle metodologie. Ma i dati non sono stati resi disponibili perché le parti interessate avevano (e hanno) paura a divulgarli, sapendo benissimo che cosa verrebbe fuori.
Sfortunatamente, la commissione, composta soprattutto da funzionari eletti invece che da esperti, ha sprecato tempo in diatribe politiche: i suoi componenti non sono riusciti a mettersi d'accordo nemmeno su come definire i mutui subprime e su come calcolare quanti mutui fossero in circolazione negli Stati Uniti al momento della crisi. Una successiva inchiesta sui lavori della commissione è stata più accurata dell'inchiesta della commissione sulla crisi: dopo aver esaminato le e-mail, un rapporto del Congresso ha riscontrato senza ombra di dubbio che i lavori della commissione erano stati guidati da ragioni politiche più che dalla volontà di appurare i fatti. Dopo tutto, le misure da prendere erano già state decise e approvate, prima di scoprire alcunché: l'obiettivo della commissione era supportare o screditare (a seconda del partito di appartenenza) la legge Dodd-Frank, non appurare la verità.
È stata una grande occasione perduta. Con i poteri di indagine di cui disponeva, la commissione Angelides avrebbe potuto raccogliere e mettere a disposizione dei ricercatori i dati necessari per rispondere a molti interrogativi fondamentali sulla crisi: le aziende che retribuivano di più i loro trader (e non solo i loro amministratori delegati) si sono prese più rischi? L'eccessiva assunzione di rischi da parte delle società finanziarie è stato il risultato di incompetenza e stupidità o una risposta razionale alla garanzia implicita fornita dallo Stato? Il mercato era consapevole del dilagare del credito facile e ha valutato di conseguenza i pacchetti di prestiti, oppure è stato ingannato? Chi erano gli acquirenti finali di questi prodotti tossici, e perché li compravano? Che ruolo ha giocato la frode?
Sono queste le domande a cui bisognava dare una risposta. Ma una risposta probabilmente non ci sarà, in assenza di un'iniziativa forte, dotata dei poteri necessari per portare alla luce i dati rilevanti. E il rischio è che per scoprire che cosa ha provocato questa crisi dovremo aspettare la prossima.
(traduzione di Fabio Galimberti)
© PROJECT SYNDICATE, 2011

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