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Questo articolo è stato pubblicato il 25 settembre 2011 alle ore 20:05.

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Togliano la barchetta in vetroresina di Fantozzi, il gommone di Filini e la vela monoposto di Calboni, cosa resta del patrimono nautico italiano? Poco, pochissimo, e gli evasori vanno cercati altrove, secondo Lorenzo Policardo, organizzatore del salone di Venezia che cerca di contrastare i luoghi comuni sul mondo del diportismo.

«Secondo le statistiche - ha dichiarato Pollicardo - in Italia sono circa 520.000 i cosiddetti natanti, quelle unità, cioè, non immatricolate: si tratta in pratica di derive, barche a remi, canoe, kajak, pattini e pedalò, insieme alle piccole barche a motore, normalmente fuoribordo. Non credo proprio si possa sostenere che tra queste 520.000 unità esista un numero significativo di prodotti da industria del lusso». E in effetti, prosegue «Il lusso dobbiamo cercarlo nel naviglio immatricolato. Le unitá registrate sono 99.000, non sappiamo quante effettivamente naviganti o addirittura esistenti, e comunque ben il 57% è inferiore ai 10 metri. Alla fine i veri prodotti di lusso sono 233 navi da diporto oltre i 24 metri, 2.600 imbarcazioni nella fascia tra i 18 e i 24 metri, 12.900 imbarcazioni nella fascia tra i 12 e i 18 metri. Molte di queste unità, pur risultando ufficialmente iscritte, potrebbero addirittura non esistere più e in ogni caso, se andiamo a vedere i dati sui proprietari e la data di costruzione scopriamo che questa flotta del lusso è molto datata, e con l'aumento dell'etá scende il valore della barca.

In sostanza possiamo dire senza timore di cadere nella retorica che molti diportisti rinunciano ad altre spese del proprio tempo libero per poter
acquistare una barca usata anche di 15/16 metri il cui valore non
supera i 100.000 euro, il costo di un box auto in una grande cittá».
Peccato che un box auto da 100mila euro in una grande città rappresenti un investimento per ricoverare auto che certamente non vengono utilizzate da cittadini non abbienti, e soprattutto, invece di produrre spese cospicue come una barca, consente di risparmiare sull'affitto e una buona rivalutazione (al contrario delle barche, come dioce lo stesso Policardo). Insomma, è un po' come paragonare un giocattolo costoso a un computer costoso: chi sceglie il primo non è esattamente lo stesso tipo di persone che sceglie il secondo.

«Certo - dice, bontà sua, Policardo - c'è la flotta della fascia superiore e qui ci sono anche i furbetti, ma parliamo di poche centinaia di proprietari di barche tra una popolazione di 600.000 e più diportisti. Vale la pena
domandarsi se questa percentuale, che io personalmente stimo 0,2/0,3
per mille, di presunti furbetti tra il popolo dei diportisti, sia
così significativa nei confronti della percentuale complessiva di
presunti evasori fiscali in Italia». In effetti, considerando solo le barche dai 12 metri in su, si tratta di 15.733 natanti. Però in fondo anche quei 35.567 con una barchetta da 10 a 12 metri non devono essere proprio poverissimi.

Non foss'altro perché il mantenimento costa parecchie migliaia di euro all'anno. Non sembra quindi così incredibile che il fisco consideri potenzialmente interessante questa platea di contribuenti anche perché, ed è proprio a questo che mira il Dl 138/2011 (la manovra di Ferragosto). Che non a caso non se la prende con i diportisti ma con le società che risultano intestatarie del natante (potendo così scaricare le relative spese) mentre in realtà è usato dal proprietario e dai familiari per scopi personali. I controlli che dovrebbero partire a breve mirano proprio a eliminare queste situazioni, che di fatto creano costi fittizi e risparmi fiscali a spese dell'erario. Cioè di chi paga le tasse onestamente.

Quante saranno queste società di comodo? diffile dirlo. Ma a fine controlli le soprese non mancheranno. Senza contare che sin qui stiamo parlando di natanti immatricolati in Italia. Ma non sarà sfuggito a Policardo, grannde conoscitore del settore, la scena tipica del porto turistico italiano: su centinaia di barche all'ormeggio, moltissime ostentano la bandierina del Paese d'immatricolazione che guarda caso non è italiano. Ma sul ponte si parla il nostro dolce idioma. Come mai? Non sarà facile smascherare i furbetti internazionali, che nascondono la ricchezza oltreconfine, si professano residenti all'estero e dichiarano poco o nulla in Italia. Mentre invece vivono, lavorano (ed evadono) nel Bel Paese. Evidentemente questa categoria di furbetti non interessa l'organizzatore del salone di Venezia. Ma speriamo che sia l'agenzia delle Entrate a interessarsi di loro.

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