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Questo articolo è stato pubblicato il 26 settembre 2011 alle ore 11:37.

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L'allenatore della squadra statunitense di rugby, Eddie O'Sullivan (AP Photo/Natacha Pisarenko)L'allenatore della squadra statunitense di rugby, Eddie O'Sullivan (AP Photo/Natacha Pisarenko)

"Do you speak english?" (Parli inglese?). Facile a chiedersi, difficile dare una risposta se vi trovate ai mondiali di rugby in Nuova Zelanda. Down Under, almeno sulla carta, l'inglese è la lingua ufficiale: oltre che nella nazione ospite, l'idioma d'Oltremanica è parlato regolarmente in altri 12 Paesi, sui 20 che stanno partecipando alla Coppa del Mondo (Australia, Canada, Inghilterra, Irlanda, Sudafrica, Scozia, Usa, Galles, Fiji, Samoa, Tonga e Namibia). Tuttavia non bisogna dare per scontato che ci si capisca sempre e comunque.

Al cinema è stata Sofia Coppola con il suo "Lost in translation" a mettere l'accento su quanto si possa perdere di significato in una traduzione. Sarà per questo che in molte conferenze stampa post partita non si sta facendo ricorso ad interpreti! O forse, avranno pensato gli organizzatori, a cosa serve un traduttore quando a giocare sono Australia e Irlanda o Galles e Sudafrica o ancora Australia e Stati Uniti? Si tratta di alcuni dei Paesi che hanno l'inglese come lingua ufficiale o tra quelle ufficiali. Viene ancora più automatico pensare di conseguenza che anche i giornalisti al seguito di queste squadre abbiano l'inglese come madrelingua o comunque siano in grado di "maneggiarlo" alla perfezione. Ecco, i mondiali di rugby di Nuova Zelanda, stanno dimostrato che questo può non essere sufficiente per evitare problemi.

Uno dei casi più eclatanti da questo punto di vista è stata la conferenza stampa dell'allenatore della nazionale degli Stati Uniti, Eddie O'Sullivan (irlandese di nascita), al termine della partita giocata contro l'Australia il 23 settembre scorso al Wellington Regional Stadium. I giornalisti facevano le domande in inglese e il tecnico rispondeva in inglese. Fin qui nulla di strano, anzi. Peccato, però, che praticamente a ogni interrogativo si sia messo in scena lo stesso siparietto: O'Sullivan che diceva di non aver capito la domanda e il reporter di turno costretto a ripeterla anche due-tre volte, finché accento e velocità non diventavano congeniali alle sue orecchie. Stesso discorso per alcune risposte del tecnico. Sarà che come dicevano i latini: "Repetita iuvant". Alla luce dello "spettacolo" dato in sala stampa, il racconto di un insegnante di inglese di Manchester che, dopo aver parlato in un pub di Nelson con tre tifosi scozzesi in tour per la Nuova Zelanda, ha esclamato: "Ho capito il 95% di quello che dicevano, per il resto sono andato a senso", non appare più così strano.

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