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Questo articolo è stato pubblicato il 29 settembre 2011 alle ore 06:36.

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Quando Umberto Bossi arriva alla Camera, il Consiglio superiore della Banca d'Italia è già finito da un pezzo. La lettera del premier, con l'indicazione del futuro governatore, non è arrivata a via Nazionale, che pertanto obtorto collo ha rinviato il suo parere al 24 ottobre. Il Senatur non si fa pregare quando gli chiedono di dire la sua sulla guida di Palazzo Koch; su chi preferisca tra Fabrizio Saccomanni e Vittorio Grilli, ovvero tra il candidato sostenuto da Bankitalia e quello sponsorizzato Giulio Tremonti: «Io preferisco Grilli, non fosse altro perché è di Milano». Il leader della Lega decide dunque di appoggiare apertamente il direttore generale del Tesoro.

Lo fa mentre a Palazzo Chigi sta per sopraggiungere Mario Draghi, che ha già avuto un lungo colloquio telefonico con il Capo dello Stato, dal quale si recherà subito dopo. Berlusconi è consapevole che non sarà una conversazione «facile» quella con l'attuale governatore e futuro presidente della Bce, preoccupato di mantenere l'autonomia di Bankitalia. Una preoccupazione condivisa anche dal Quirinale, che non sembra affatto aver preso bene lo stop deciso dal Cavaliere.

Fino a qualche giorno fa la nomina di Saccomanni sembrava infatti imminente. E se è vero che ancora ieri, Saccomanni era 0.il candidato più forte è altrettanto evidente che il pressing di Tremonti per Grilli ha pesato parecchio. Al punto da scatenare una ridda di interpretazioni, anzitutto nel Pdl. Ieri il ministro dell'Economia è rimasto tutto il tempo alla Camera durante il voto di fiducia sul collega dell'Agricoltura Saverio Romano. Prima però aveva raggiunto Berlusconi a Palazzo Chigi, da cui da pochissimo si era allontanato Draghi. Un colloquio in cui il premier ha ribadito al ministro il forte disappunto del Governatore e anche del Quirinale. Tremonti l'aveva messo in conto. E il fatto che abbia comunque deciso di insistere dimostra che sta giocando una partita più complessa di quanto appaia. Dopo l'incontro con il Cavaliere, si è volutamente intrattenuto tra la buvette e il Transatlantico con diversi esponenti del Pdl e anche con il ministro dell'Interno, il leghista Roberto Maroni.

Un'attività di pubbliche relazioni che non è servita a fargli riconquistare la simpatia dei suoi colleghi di partito. Anzi, la stragrande maggioranza di loro è insorta contro lo stesso premier: «Ma come, a noi ci dice che con Tremonti è finita, che basta con i suoi diktat altrimenti meglio che se ne vada e poi, alla prima occasione, gli da man forte...». Berlusconi in realtà è stato costretto ancora una volta a fare buon viso a cattivo gioco. Il suo ministro dell'Economia ha infatti riconquistato il rapporto preferenziale con Bossi. Si badi bene, l'asse Tremonti-Carroccio non è più quello di una volta. L'insofferenza nei confronti del titolare di Via Venti Settembre è forte anche nella Lega, ma Bossi ha capito che senza Tremonti sarebbe addirittura peggio. È stato (ed è) il ministro dell'Economia a non pressare più di tanto sulla riforma delle pensioni, su cui invece il Pdl continua a battere. Ed è lui a vigilare che alcune «poste» (si vedano anche recenti decisioni del Cipe) imbocchino la strada giusta. Di qui l'appoggio di Bossi a sostegno di Grilli. Per la stessa ragione, tutto (o quasi) il Pdl si è invece schierato per Saccomanni. Si parla con insistenza di «un terzo uomo», che qualcuno individua nel componente della Bce Lorenzo Bini Smaghi. Ma sembra più un nome messo là per tentare di uscire dall'impasse, che una alternativa realmente percorribile. Berlusconi intanto conta di ultilizzare il rinvio per giocarsi le sue carte. La nomina del Governatore è l'ultima nomina importante che gli rimane e non intende privarsene così facilmente. Gli fa comodo per i suoi rapporti con il Colle e con Draghi ma anche con lo stesso Tremonti, soprattutto alla vigilia del varo dei provvedimenti per la crescita.

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