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Questo articolo è stato pubblicato il 30 settembre 2011 alle ore 08:08.

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Una poltrona per quattro. Tre dei quali finirebbero in una terna destinata a finire sul tavolo del vertice di maggioranza annunciato dal premier, se la vicenda non si sblocca prima o addirittura nelle prossime ore.

Nel frattempo i nomi dei candidati sono saliti ad almeno quattro: a Fabrizio Saccomanni e Vittorio Grilli si è aggiunto quello di Ignazio Visco, vice direttore di Bankitalia, e resta sempre quello di Lorenzo Bini Smaghi, membro del board della Bce, che comunque non risulterebbe avere reali possibilità.
Il nodo principale resta quindi sempre la corsa tra il romano Saccommani e il milanese Grilli, per dirla alla Bossi. Due personalità forti e due curricola molto solidi, sia interni che internazionali, ma anche con visioni diverse su alcuni punti qualificanti.

Il direttore generale della Banca d'Italia, richiamato da Mario Draghi nel 2006 da Londra (era alla Bers dopo una vita spesa da "ministtro degli esteri" della banca), ha condiviso con il governatore la politica di rigore nei confronti del sistema bancario. Una linea che ha portato alle ricapitalizzazioni delle banche e le ha accompagnate verso gli standard severi di Basilea 3. Una condotta "rigorista" impostata da Draghi sul solco della tradizione. Non è un caso che – a quanto risulta – i vertici di alcune tra le maggiori banche del paese stanno guardando alla soluzione interna con minor favore rispetto a Grilli. Il dg del Tesoro ha condiviso con Giulio Tremonti la linea di appeasement verso il sistema bancario, segnato da un fitto dialogo (specie nelle riunioni del lunedì a Milano) e un'attenzione maggiore rispetto al passato. Le rampogne del ministro sono contro gli speculatori, ma quando si parla del sistema italiano il messaggio è che nessun istituto è fallito con la crisi, a differenza degli altri paesi europei. Insomma i tempi sono cambiati rispetto a due anni fa.

Poi c'è il fronte internazionale. Saccomani condivide le politiche che hanno poggiato molto sull'azione della Bce, che ha impostato (qualcuno dice imposto) le azioni di rigore dei paesi a rischio o in affanno, come l'Italia. Ed è contrario all'ipotesi di emissione di Eurobond (d'accordo con la Germania), come ha confermato un mese fa a Capalbio. E anche su questo diverge da Grilli, che ha condiviso la battaglia di Tremonti proprio sui bond europei. E con il ministro, il dg Grilli – che presiede da qualche tempo il Comitato Ecofin – concorda che la cabina di regìa della crisi deve essere a Bruxelles, tra i governi, e non a Francoforte. Emblematico fu il siparietto dello scorso agosto a Palazzo Chigi. Elencando le istituzioni internazionali con le quali confrontarsi, Tremonti citò Fmi, Ue, Ocse. Lo interrompe il premier: «E anche la Bce» (era il periodo di stretto lavoro con Draghi, ndr). Immediata la replica del ministro: «Credo che la Bce sia importante ma non coinvolgibile». Il premier si prese l'ultima parola: «Informabile però sì».

Lorenzo Bini Smaghi, fiorentino, di scuola Bankitalia (poi al Tesoro e infine alla Bce) ha lavorato con Tremonti e conosce bene tutti i meccanismi del sistema. La sua impostazione è sostanzialmente in linea con Via Nazionale, sia verso le banche che per la gestione della crisi, compresi gli eurobond, che avrebbero - dice - effetti espansivi sul debito. Ma la sua provenienza da Palazzo Koch non è sufficiente a considerarlo una soluzione interna, anzi. Per il napoletano Ignazio Visco valgono in buona parte le considerazioni per Saccomanni. Ma proviene dall'ufficio studi e la sua impostazione è macroeconomica. Ha quindi una grande consuetudine con i conti pubblici e le manovre ma meno con le banche, ben conosciute invece da un altro vice, Anna Maria Tarantola. Nata a Casalpusterlengo, giusto per segnalazione a chi la butta sulla carta d'identità.

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