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Questo articolo è stato pubblicato il 09 ottobre 2011 alle ore 19:10.

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Mai come oggi l'espressione "stallo politico" serve a descrivere la situazione in cui vegetano maggioranza e governo. Stallo totale, ossia paralisi. Con una scelta quanto meno discutibile, il presidente del Consiglio è andato a trascorrere il "week end" da Putin mentre a Roma la confusione è totale. Sul decreto sviluppo, sullo strumento del condono, sulle intercettazioni: non c'è un punto in cui la coalizione si ritrovi unita. E d'altra parte non c'è un punto in cui si avverta una salda "leadership", una guida sicura in grado di indicare le opzioni migliori.

Detto questo, non si deve credere che la svolta politica sia dietro l'angolo. Quando una crisi si avvita su se stessa senza riuscire a esplodere, si può andare avanti abbastanza a lungo prima che un fatto nuovo risolva l'"impasse". Certo, non si arriverà al 2013: tutti sanno che l'obiettivo originario di Berlusconi – completare la legislatura – è ormai compromesso. Ma il "come" uscire dalla lunga stagione di Berlusconi, ecco questo è il nodo che nessuno sa sciogliere. Scajola, Pisanu, Formigoni, ciascuno a suo modo, hanno già preso atto che il premier è di fatto fuori gioco e stanno cercando di non restare sotto le macerie. Tuttavia nessuno ha in mano il bandolo della matassa, nessuno ha una vera strategia. Quindi la "scossa", come dice Sajola, è certo necessaria; ma se con questa parola s'intende il passo indietro di Berlusconi e la nascita di una nuova maggioranza, magari aperta ai centristi, ecco che i conti non tornano più.

Il passo indietro spontaneo di Berlusconi non è all'ordine del giorno, come ha ripetuto il segretario del Pdl, Alfano. D'accordo, nessuno può escludere un incidente in Parlamento, la scivolata di una coalizione ormai frantumata al suo interno e priva di una bussola. Può accadere in un qualunque momento delle prossime settimane. In quel caso avremmo una crisi di governo "al buio", con un rischio autentico di "balcanizzazione" della politica e l'approdo quasi certo di elezioni anticipate. Viceversa, è quasi impossibile uscire dall'eventuale crisi con una nuova maggioranza moderata o con quell'esecutivo di "transizione", tecnico, d'emergenza o istituzionale di cui si parla molto, ma astrattamente. Le condizioni politiche non s'intravedono ed è illogico pensare che Bersani possa mai dare una mano all'attuale maggioranza per archiviare Berlusconi e guadagnare tempo per riorganizzarsi e consolidarsi.

No, gli unici ad avere davvero interesse per un governo senza Berlusconi sono gli ex democristiani del Pdl, convinti che ormai quella del premier è un'esperienza conclusa, votata perciò a una deriva estremista sempre più insidiosa. Nemmeno Casini può desiderare l'uscita di scena di Berlusconi e il riassetto del centrodestra: ufficialmente questo è il suo obiettivo, in realtà lo spazio del "terzo polo" ha bisogno per allargarsi che i due schieramenti maggiori, Pdl e Pd, continuino a restare prigionieri delle loro contraddizioni.

Così si torna al punto di partenza. Quei 15-20 parlamentari che seguono Scajola e qualcun altro che condivide le tesi di Pisanu sono ormai al di là del "berlusconismo", tuttavia non sanno che fare e dove andare. In questa legislatura non c'è un altro partito in grado di accoglierli e nel Pdl, se sbagliano la prossima mossa, non troveranno nessuno disposto a ricandidarli. Ecco perchè non c'è un vero piano per disarcionare il presidente del Consiglio: non c'è per la buona ragione che è difficile metterlo a punto quando non si è sicuri del "che fare" successivo. La verità è che l'asse Berlusconi-Bossi, per quanto sia logorato, è ancora capace di chiudere gli spazi ai nostalgici del centro. Scajola e gli altri possono ancora condizionare il premier e possono contrattare maggiori spazi per se stessi: ma è molto improbabile che riescano a breve termine a rovesciare gli attuali equilibri, provocando una crisi e un cambio di governo.

Loro stessi sono i primi a sapere che, una volta aperta la crisi, non ci sarà un Berlusconi-bis e probabilmente neanche un altro governo guidato da un personaggio "X". Ci sarà solo il lento precipitare verso lo scioglimento delle Camere, eventualità che proprio i malcontenti e i dissidenti del Pdl non vogliono (perchè sanno che pochi di loro sarebbero rieletti). Certo, se Berlusconi accettasse di buon grado di farsi da parte e di aprire la strada a un governo diverso (guidato da Schifani, Alfano o altro personaggio di fiducia) tutto sarebbe risolto. Ma dopo 17 anni sulla breccia, il padre-padrone del centrodestra non intende muoversi da Palazzo Chigi finchè non ne sarà cacciato dal voto o da una congiura. E soprattutto in quest'ultimo caso gli rimarrà abbastanza forza per contrastare, destabilizzandolo, qualunque assetto gli venga imposto. Dunque, ecco lo stallo. Il vicolo cieco da cui nessuno riesce a trovare l'uscita.

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