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Questo articolo è stato pubblicato il 10 ottobre 2011 alle ore 12:59.

A marzo di quest'anno avevo incontrato al Cairo i coraggiosi cristiani copti che protestavano davanti al palazzo della televisione di Stato, chiamato Maspero, contro la distruzione e l'incendio di una chiesa a seguito di scontri per un matrimonio inter-religioso che in Egitto funziona solo quando la donna cristiana si fa musulmana e non viceversa, quando cioè la donna musulmana si converte al cristianesimo, visto che la legge prevede che la moglie segue la religione del marito.
Il nuovo Egitto sta tentando faticosamente di mettere in discussione l'articolo 2 della Costituzione, quello che dice che le leggi del Paese si ispirano alla sharia, la legge islamica.
Fin quando c'era il corrotto regime di Mubarak i Fratelli musulmani sono stati messi al bando e la laicità dello Stato in qualche modo salvaguardata, ma ora con l'avvicinarsi delle elezioni parlamentari gli animi si accendono e la faccenda sta volgendo al peggio. Molti copti mi hanno scritto dicendo che si stanno preparando a una via di fuga, cioè a lasciare il Paese, se i Fratelli musulmani dovessero come è prevedibile diventare il maggior partito di Governo. Parole eccessive? Forse ma la paura comincia come le domande di visto ad aumentare.
I copti non ci stanno all'islamizzazione strisciante dell'Egitto. Molti di loro sei mesi fa mi aveva detto che erano pronti a battersi, ed è quello che è iniziato sabato notte a Maspero propio dietro Piazza Tahrir. «Questa è la vera rivoluzione, non quella di febbraio a piazza Tahir contro Mubarak. Lottare per la libertà religiosa è il nostro obiettivo; senza questa libertà non si può parlare di democrazia», mi aveva detto profeticamente un giovane cristiano copto sei mesi fa nello stesso punto dove è iniziata la violenza, sulla Corniche du Nil, con la faccia dipinta da due croci sulle guance con i colori delle bandiera egiziana.
«Ho dipinto la mia faccia così perché noi siamo i veri egiziani, c'eravamo prima noi dei musulmani e ci resteremo in questa terra», mi aveva urlato in faccia in mezzo a un frastuono assordante di tamburi, slogan contro il Governo, fierezza identitaria e richieste di ricostruire la chiesa di Soul distrutta dalle fiamme da fanatici musulmani.
Il sit-in dei copti al Cairo, un centinaio, sul lungo Nilo era andato avanti dal 5 marzo, stretto da due posti di blocco dell'esercito con carri armati schierati a protezione di qualche infiltrato. C'erano giovani e anziani, laici e religiosi, persino qualche famiglia con bambini che dormivano lì, sulla Corniche du Nil, sull'asfalto, davanti alla sede della televisione egiziana (palazzo conosciuto con il nome di Gaston Maspero, un egittologo francese dell'inizio del XX secolo, da cui la definizione di "giovani Maspero") per chiedere al consiglio supremo dell'esercito la ricostruzione di una chiesa della Vergine data alle fiamme da musulmani.
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