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Questo articolo è stato pubblicato il 10 ottobre 2011 alle ore 06:36.

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ed Elsa Fornero
Il «Progetto delle imprese per l'Italia» ha riacceso il dibattito sulle pensioni con una serie di richieste che vanno nella giusta direzione. La stessa direzione verso la quale muove la proposta del CeRP (http://cerp.unito.it), che ne condivide lo spirito, e anzi mira al l'ambizioso obiettivo di un più coerente ed equo riassetto del sistema previdenziale.
Si tratterebbe di applicare, a partire dal 2012, il metodo contributivo pro-rata per tutti i lavoratori, rendendo subito effettive un'età minima di pensionamento pari a 63 anni (con il requisito dei 20 anni di anzianità oggi richiesto per le pensioni di vecchiaia) e una "fascia di flessibilità" che incoraggi il lavoratore a ritardare l'uscita fino ai 68 (70) anni, con un incremento di pensione che – secondo calcoli matematici, e non secondo arbitrari criteri politici – tenga conto dei maggiori contributi versati e della maggiore età. I requisiti minimi e massimi sarebbero successivamente indicizzati alla longevità.
Cosa succederebbe in pratica se tale proposta dovesse realizzarsi? L'attenzione si è finora focalizzata sul contributo delle riforme alla riduzione della spesa, c'è però un aspetto che dovrebbe stare a cuore a coloro i quali considerano l'equità non meno importante della sostenibilità e che considera la posizione relativa dei soggetti interessati dalla riforma. Semplificando, si individuano tre tipologie di lavoratori: 1) i "salvati" del 1995, esonerati dall'applicazione del contributivo grazie alla artificiosa demarcazione introdotta tra coloro che, al 31 dicembre 1995, avrebbero raggiunto almeno 18 anni di anzianità (in linea di massima, si tratta dei nati tra il '50 e il '62) e gli altri; 2) i "parzialmente protetti" (anzianità inferiore a 18 anni nel 1996) la cui pensione sarà calcolata secondo il pro-rata, ossia in base alla regola retributiva per l'anzianità maturata al 1995 e a quella contributiva per l'anzianità dal 1996; 3) gli "indifesi", ossia gli assunti dal 1996, la cui pensione sarà interamente contributiva.
La prima conseguenza della proposta è un generale avvicinamento dei trattamenti tra le categorie. Per tutti si avrebbe un aumento del l'età minima di pensionamento, mentre sparirebbero le pensioni di anzianità per i "salvati" e i "parzialmente protetti", i quali avrebbero almeno una parte di pensione contributiva, molto piccola per i "salvati", più grande per i "parzialmente protetti".
Consideriamo un lavoratore con retribuzione pensionabile di 30mila euro l'anno a cui venga imposto di lavorare 2-3 anni in più. Mantenendo la regola retributiva, ogni anno di lavoro aggiuntivo porterebbe a un aumento della pensione annua di 600 euro (il 2% della retribuzione), a prescindere dall'età di pensionamento. Adottando il contributivo pro-rata, tale aumento dipenderebbe dall'età e, tanto per avere un'idea, sarebbe pari a 536 euro per un 63enne e a 573 euro per un 65enne.

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