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Questo articolo è stato pubblicato il 11 ottobre 2011 alle ore 06:39.

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iccoli, poveri, sempre più affamati. Futuro nero quello che si prepara per i Paesi piccoli, dipendenti dalle importazioni, concentrati quasi tutti nell'Africa Subsahariana che continueranno a soffrire per l'aumento e la volatilità dei prezzi alimentari. Tradotto in cifre sfiorano il miliardo le persone che non sanno come nutrirsi.

È la drammatica previsione contenuta nell'ultimo rapporto "The State of Food Insecurity in the World" (Sofi) curato quest'anno da Fao, Pam e Ifad e reso noto ieri a una settimana dalla giornata mondiale dell'alimentazione che si celebrerà il 16 ottobre prossimo.
Un rapporto tutto incentrato sulle cause dell'aumento dei prezzi e della volatilità delle commodity alimentari. Una situazione, come denunciano i responsabili delle tre agenzie, Jacques Diouf (Fao), Kanayo F. Nwanze (Ifad) e Josette Sheeran (Pam) che «mette a rischio i nostri sforzi per raggiungere l'obiettivo del Millennio di dimezzare entro il 2015 la percentuale di persone che soffrono la fame». A rischio saranno piccoli Paesi, dipendenti dalle importazioni, quasi tutti concentrati in Africa che stanno già pagando le conseguenze della grave crisi alimentare e di quella economica del 2006-2008.
Ma poco o nulla è stato fatto negli ultimi anni per correggere questa situazione. Secondo quanto rileva il curatore del rapporto, Kostas Stamoulis, direttore della divisione Fao economica dello sviluppo agricolo, «non sono state rimosse le cause che spingono all'insù la dinamica dei prezzi agricoli, sta crescendo la popolazione mondiale e quindi la domanda di cibo e anche la domanda di energia che per un terzo è ormai fornita dall'agricoltura attraverso i biocarburanti». Anche la speculazione finanziaria, secondo il rapporto, contribuisce ad alimentare la volatilità dei prezzi agricoli anche se non ne è la causa principale. Sta di fatto che il rapporto stima che le persone che soffrivano la fame nel 2010 erano 925 milioni contro le 850 milioni negli anni 2006-2008. Il suggerimento delle tre agenzie dell'Onu è rivolto ai Paesi industrializzati i cui Governi «debbono assicurare meccanismi trasparenti che promuovano gli investimenti privati e aumentino la produttività agricola».
La gravità della situazione è sottolineata da Confagricoltura e Coldiretti secondo la quale applicare al cibo le regole della finanza «rischia di far morire di fame la gente». Ma il rischio che dall'emergenza si passi alla malattia cronica viene segnalato da molte Ong a cominciare da ActionAid che chiede politiche attive al Governo italiano e al G-20 che si riunirà il mese prossimo a Cannes. La lotta alla speculazione e alla volatilità dei prezzi energetici ed agricoli ha visto in prima fila il Governo italiano ed è stata rilanciata dalla presidenza francese del G-8 e del G-20 ma, finora, con scarsi risultati. Il segretario di ActionAid, Marco De Ponte, sollecita ora il G-20 a decidere in fretta su riserve alimentari, eliminazione dei target per i biocarburbanti e sulla regolazione dei mercati dei derivati agricoli per spostare risorse verso gli investimenti in agricoltura. ActionAid, nel suo ultimo rapporto "Scorecard 2011" stila, comunque, la classifica dei Paesi che, meglio di altri, si sono impegnati nella lotta alla fame: Brasile, Ruanda e Malawi.
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