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Questo articolo è stato pubblicato il 12 ottobre 2011 alle ore 06:36.

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Per ora dal Colle Giorgio Napolitano si limita a quella che i suoi collaboratori definiscono «una vigile attenzione». Prima di esprimere un giudizio e maturare una qualche decisione, il presidente della Repubblica attende di conoscere gli intendimenti del governo dalla viva voce del presidente del Consiglio, e le determinazioni cui perverrà la Camera sul destino del provvedimento.

Ieri ha assistito pressochè in «presa diretta» alla clamorosa bocciatura dell'articolo 1 del rendiconto dello Stato per il 2010. È stato infatti il presidente della Camera, Gianfranco Fini a informarlo dell'accaduto, al suo arrivo a Montecitorio per la presentazione di un volume di Gaetano Martino, dove è stato accolto dagli applausi dei cittadni che lo attendevano all'ingresso («Bravo presidente, sei unico», gli è stato tra l'altro detto). Durante il colloquio, Fini ha reso noto a Napolitano anche l'esito della conferenza dei capigruppo svoltasi poco prima.

La prudenza è motivata dalla delicatezza della situazione. Prima di tutto, occorre che si pronunci la Giunta per il regolamento della Camera, convocata da Fini per questa mattina. Poi è fissata una nuova riunione dei capigruppo. In sostanza - questo il ragionamento del Capo dello Stato - poiché c'è stato un voto parlamentare, la questione non può che essere affrontata dal Parlamento stesso. Anche perché non è ancora chiaro se la bocciatura dell'articolo 1 del provvedimento sia da considerare preclusiva dell'intero iter oppure se quella norma abbia un carattere prevalentemente "ricognitivo".

Soluzione che evidentemente non può che essere individuata in fretta, poiché l'approvazione del rendiconto generale dello Stato rientra tra gli atti dovuti. Dal punto di vista politico, è evidente che al Colle è scattato l'allarme rosso. Vigilanza, ma prima di tutto chiarezza. Il voto di fiducia? Prima di tutto - si chiedono i collaboratori di Napolitano - occorre verificare su che cosa la si chiede. Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi minimizza e ipotizza una sua «exit strategy» che preveda la ripresentazione del provvedimento? Nessun commento dal Colle. Il presidente - si ragiona al Quirinale - non si pronuncerà fino alla formalizzazione di precisi «atti istituzionali». La preoccupazione è sulla situazione economica del Paese, e non sfugge a Napolitano il segnale che parte della maggioranza ha voluto lanciare con il voto di ieri, respingendo l'articolo 1 di un provvedimento che reca la firma del ministro Tremonti.

La cautela è giustificata anche dal timore che lo stato di crescente fibrillazione in cui versa la maggioranza finisca per rendere ingestibile il governo dei conti pubblici e della crisi economica, in un momento in cui al contrario il timone deve essere saldamente orientato sulla rotta. Rigore, sobrietà nei comportamenti pubblici, coesione: la linea del presidente della Repubblica, espressa in diversi interventi nel corso delle ultime settimane, non muta. Il destino del governo? Naturalmente sulla questione Napolitano non può che esercitare il massimo della vigilanza, nell'ambito delle sue prerogative costituzionali. Il che in sostanza vuol dire che è pronto a fare la sua parte, qualora il governo fosse sfiduciato in Parlamento. Nessuno scenario, però, si fa al Colle almeno per ora. In attesa, appunto, degli eventi.

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