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Questo articolo è stato pubblicato il 12 ottobre 2011 alle ore 06:38.

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Eric Holder (Ap)Eric Holder (Ap)

NEW YORK - Compra la Chevrolet! È stato questo il messaggio in codice dato il 5 ottobre scorso da un sospetto membro delle Guardie Rivoluzionarie iraniane al suo agente negli Stati Uniti. Voleva dire di procedere con il piano di assassinare l'ambasciatore saudita a Washington.

Le Guardie Rivoluzionarie non sapevano però che le autorità statunitensi stavano monitorando quella telefonata. Né che da mesi tenevano sotto controllo lo stesso agente iraniano. O che il sicario prescelto non era un narcotrafficante messicano bensì un informatore della Drug Enforcement Agency, l'agenzia federale americana.

A rivelare tutto questo è stato ieri il ministro della Giustizia Usa Eric Holder in una conferenza stampa. Si è così venuti a sapere come Manssor Arbabsiar, 56enne iraniano naturalizzato americano, ha tramato per assassinare l'ambasciatore saudita insieme a membri della Forza al Quds, l'unità per le operazioni speciali delle Guardie Rivoluzionarie. Secondo l'ordinanza della procura federale di New York, durante ripetute visite nel suo Paese natale, Arbabsiar sarebbe stato indotto da Gholam Shakun, di al Quds a valutare una gamma di atti terroristici contro obiettivi sauditi negli Usa. Nel maggio scorso si sarebbe poi recato a Città del Messico dove avrebbe stabilito un contatto con il sedicente narcotrafficante.

Il messicano si sarebbe dichiarato capace e disposto a condurre in porto un attentato utilizzando esplosivo C-4 per far saltare in aria il ristorante di Washington frequentato dall'ambasciatore. In cambio di un milione e mezzo di dollari. Arbabsiar avrebbe contattato i suoi referenti in Iran e coordinato con loro il pagamento di un anticipo. Posto di fronte alla possibilità di causare la morte di vittime innocenti con una bomba in un affollato ristorante, Arbabsiar avrebbe dato il suo benestare dicendo: «Vogliono far fuori il tipo. Meglio se da solo. Ma a volte non si ha scelta. Se salta in aria un centinaio di persone sono caz... loro».

A settembre tutto sembrava pronto: l'anticipo, l'esplosivo, i sopralluoghi. Ma prima di procedere, il narcotrafficante ha chiesto un incontro di persona per finalizzare il piano. Il 28 settembre, l'iraniano-americano ha così preso un volo per Città del Messico. Ma al suo arrivo le autorità messicane gli hanno rifiutato l'ingresso. Il giorno dopo è stato costretto a prendere un aereo e tornare indietro. All'aeroporto Jfk di New York ha trovato gli agenti ad attenderlo. Poche ore dopo il suo arresto, Arbabsiar ha deciso di confessare: il 4 e 5 ottobre, su richiesta dell'Fbi, Arbabsiar ha contattato Shakun spingendolo a dare il suo benestare finale - e registrato al telefono - all'«acquisto della Chevrolet».

Questa la versione ufficiale. Ma dall'ordinanza della procura federale risulta che il sedicente narcos era da tempo una «fonte pagata» dei federali e che sin dal primo giorno ha registrato tutte le sue conversazioni con l'iraniano. Insomma, più che complice potrebbe essere stato l'istigatore. Mentre l'immediata confessione di Ababsiar fa venire il dubbio che lui stesso sia stato sin dall'inizio un doppio agente.

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