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Questo articolo è stato pubblicato il 14 ottobre 2011 alle ore 08:07.

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I banchi vuoti dell'opposizione, i ripetuti sbadigli di Umberto Bossi e Giulio Tremonti seduto un po' più in là, che quando lascia l'aula non accenna neppure a un saluto: non è stato certo il pathos ieri a carattezzare i venti minuti che Silvio Berlusconi ha dedicato al suo intervento intervallato dagli appluasi della maggioranza e conclusosi con la consueta standing ovation. Una ritualità che ha lasciato poco spazio all'improvvisazione. Il discorso del premier è apparso abbastanza scontato. Berlusconi ha ribadito che non ci sono alternative al suo governo, che l'ipotesi di un esecutivo «tecnico» non è praticabile perché «non risolverebbe i problemi» non avendo «la forza di un governo democraticamente eletto». Di fare «passi indietro» non se ne parla e l'unica strada percorribile, qualora oggi non avesse la fiducia, sarebbe il ritorno alle urne.

È questo il leit motiv su cui si regge l'intervento del Cavaliere, che si dice certo di sconfiggere «la stretegia del pessimismo portata avanti dagli sfascisti» ovvero dall'opposizione «divisa», anzi «sparita», dice suscitando l'ilarità dei presenti per la scelta aventiniana di Bersani, Di Pietro, Casini e Fini. La debacle dell'altro giorno, la boccciatura del rendicondo è stata ‐ ripete ‐ un «incidente», certamente «grave» e di cui il premier si «scusa» pubblicamente ma nulla di più e dunque la strumentalizzazione che ne hanno fatto le opposizioni è del tutto impropria. Mentre un giudizio totalmente positivo il premier lo esprime a sostegno dell'azione «impeccabile» svolta dal Capo dello Stato. Un passagggio sottolineato anche dagli applausi dell'aula.

Il premier va avanti spiegando come si riparerà all'incidente di martedì. «Il Governo non può sottrarsi alla sua responsabilità», aggiunge Berlusconi, anticipando che subito dopo il voto di fiducia verrà presentato un nuovo disegno di legge per il rendiconto, di un solo articolo e con allegate le tabelle delle singole amministrazioni che sarà sottoposto nuovamente al vaglio della corte dei conti e poi presentato al Senato: «Ma parlare di sfiducia è improprio perché il rendiconto è un atto squisitamente di riscontro contabile».

Sul futuro il Cavaliere si mantiene prudente. Annuncia l'imminente approvazione del decreto sviluppo, dicendosi consapevole che la «politica di rigore senza la crescita rischia di condurre alla stagnazione dell'economia e al peggioramento dei conti pubblici». Ma su quale sia la ricetta per il rilancio non dice nulla, limitamdosi nella replica a sollecitare proposte e suggerimenti da parte dei deputati della maggioranza.

Tremonti è seduto alla sua sinistra, subito dopo c'è Bossi che si mostra piuttosto annoiato e si risveglia dal torpore mostrando il dito medio alzato a Tremonti e La Russa, che abbozzano un sorriso. «Noi vogliamo sconfiggere la strategia della paralisi e il decreto sviluppo è solo un mattone contro la sfiducia», prosegue il premier che garantisce «il pareggio di bilancio» e la protezione del sistema creditizio.

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