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Questo articolo è stato pubblicato il 15 ottobre 2011 alle ore 09:52.

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No Usa al finanziamento dell'FmiNo Usa al finanziamento dell'Fmi

È opportuno dotare il Fondo monetario internazionale di nuove risorse, e magari anche di un nuovo ruolo, affinché possa soccorrere i Paesi dell'Eurozona in maggiore difficoltà ed evitare un contagio al resto dell'area e del mondo? Le ore immediatamente precedenti il vertice dei ministri delle Finanze e governatori delle Banche centrali del G-20, che si è aperto ieri sera a Parigi e si concluderà oggi pomeriggio, sono state caratterizzate dal dibattito a distanza su questa domanda. Con due fronti contrapposti. Il primo, favorevole, composto dai cosiddetti emergenti (Sudafrica e Brasile in testa, ma a quanto sembra anche Cina, India e Russia), disposti ad aumentare la loro contribuzione all'Fmi in cambio di un maggior peso all'interno dell'istituzione. Il secondo, contrario, costituito dalle economie avanzate: Stati Uniti in primis, ma anche Australia e Canada. Con l'appoggio "esterno" della Germania.

A dare fuoco alle polveri ci ha pensato, in mattinata, il ministro delle Finanze sudafricano Pravin Gordhan: «Le risorse di cui dispongono il Fondo europeo di stabilità finanziaria e il Fondo monetario internazionale - ha dichiarato a margine di un incontro all'Ocse - si rivelerebbero inadeguate se dovesse estendersi il contagio della crisi della zona euro. E i Paesi del gruppo Brics hanno già fatto sapere di essere disponibili ad aiutare le istituzioni internazionali se venisse loro chiesto».

Conferme in questo senso, stando a fonti di stampa del ricco Paese sudamericano, sono venute dal ministro delle Finanze del Brasile Guido Mantega.

Ma è ben presto arrivato lo stop americano: «Secondo il nostro modo di vedere le cose oggi - ha commentato il segretario al Tesoro Timothy Geithner - il Fondo monetario ha risorse finanziarie assai significative, non utilizzate e disponibili».

La questione era stata sollevata un mese fa dalla direttrice dell'Fmi Christine Lagarde, la quale aveva indicato in circa 385 miliardi di dollari le possibilità di intervento del Fondo nei prossimi dodici mesi. Una cifra ritenuta insufficiente per affrontare l'eventuale estensione della crisi a Paesi importanti dell'Eurozona come Spagna e Italia. E negli ultimi giorni era circolata la cifra di 350 miliardi di dollari come possibile implementazione della cassaforte dell'Fmi.

Non si tratta peraltro solo di quattrini. Ma anche di responsabilità politica e di credibilità, come ha chiarito il ministro delle Finanze australiano Wayne Swan, dicendo ad alta voce quello che molti pensano: «La priorità assoluta è che gli europei mettano ordine in casa loro».

Un'opinione condivisa dal ministro tedesco Wolfgang Schauble: «Il Fondo monetario ha i mezzi sufficienti per svolgere la sua missione. E la gran parte del compito spetta agli europei. Siamo contenti di avere l'aiuto e il sostegno dell'Fmi, ma dobbiamo prenderci le nostre responsabilità e risolvere i problemi alla radice».

Europei che già ieri sera si sono sforzati di spiegare ai loro partner del G-20 quanto stanno facendo per cercare di mettere la parola fine una volta per tutte alla nuova fase della crisi che si è aperta con il caso della Grecia ed è rapidamente diventata crisi dei debiti sovrani. Con le banche, gonfie di obbligazioni pubbliche, in prima fila a farsi crocifiggere dai mercati.

L'operazione, per usare le parole della presidenza francese, consiste in un «trattamento shock di recupero della fiducia» basato su tre pilastri: la ricapitalizzazione degli istituti di credito, chiamati a rafforzare i loro mezzi propri e a raggiungere gli standard fissati già a metà del 2012 (anche se sui tempi Schauble ha provveduto a rassicurare le banche tedesche); portare dal 21 al 50% il default parziale (o selettivo) di Atene a carico dei creditori privati; adeguare alle nuove esigenze la potenza di fuoco del Fondo di stabilità, l'Efsf che con il voto slovacco ha avuto il via libera definitivo.

Temi di cui hanno discusso sempre ieri a Parigi il presidente Nicolas Sarkozy, Schauble e il ministro francese François Baroin, in vista del decisivo vertice europeo del 23 ottobre. Occasione utile anche per ribadire, ancora una volta senza entrare nel merito, che Francia e Germania si muovono in totale accordo e stanno facendo passi avanti concreti decisivi per bloccare l'effetto contagio. Nonostante le critiche all'asse franco-tedesco rilanciate dal presidente della Commissione José Manuel Barroso.

Dal congresso del sindacato IG Metall, a Karlsruhe, la cancelliera Angela Merkel ha infine lanciato un nuovo segnale, soprattutto agli americani, chiarendo quale sarà uno degli argomenti forti del G-20 dei capi di Stato e di Governo che il 3 e 4 novembre a Cannes chiuderà l'anno di presidenza francese: «Non è possibile che chi, all'esterno dell'Eurozona, continua a sollecitarci ad agire contro la crisi, rifiuti nel contempo la creazione di una tassa sulle transazioni finanziarie».

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