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Questo articolo è stato pubblicato il 15 ottobre 2011 alle ore 08:14.

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BARI.
C'è una differenza di interpretazioni del reato di induzione alle false dichiarazioni alla magistratura dietro l'ordinanza di custodia cautelare decisa ieri a Bari per l'ex direttore dell'Avanti!, Valter Lavitola. Da una parte il collegio del Riesame di Napoli, presieduto da Angela Paolelli, e il gip di Bari Sergio Di Paola; dall'altra il procuratore aggiunto del capoluogo pugliese, Pasquale Drago. Due diverse vedute che potrebbero portare già nei prossimi giorni la difesa di Lavitola a proporre ricorso al tribunale del Riesame di Bari e, in caso di mancato accoglimento, anche in Cassazione. C'è anche questo dietro la vicenda processuale che coinvolge a vario titolo il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, l'ex giornalista, latitante dal primo settembre e l'ex re delle protesi pugliesi, Gianpaolo Tarantini. Una differenza di vedute che rivela una guerra (interpretativa) tra toghe. Tutto nasce il 26 settembre scorso con il provvedimento del Riesame di Napoli secondo cui «la descritta condotta appare perfettamente rispondente al paradigma di cui all'art. 377 bis codice penale (induzione al falso, ndr)».
Così decide il collegio partenopeo: partendo dai fatti come le dazioni di denaro per 850mila euro da Berlusconi a Tarantini per il tramite di Lavitola, modifica l'originaria imputazione. Quei passaggi di soldi e di altre utilità non sono più un'estorsione al premier ma il presunto valore del silenzio di Tarantini per non riferire ai pm baresi che Berlusconi fosse perfettamente a conoscenza che le 30 donne che avevano frequentato le sue residenze tra settembre 2008 e marzo 2009 erano prostitute pagate da Tarantini e, in parte, dallo stesso premier. Una modifica del capo d'imputazione sul quale il procuratore aggiunto Drago ha eccepito «la nullità processuale» perché ritiene che tra l'estorsione e l'induzione al falso c'è grande differenza giuridica. Di base, però - ne sono convinti tutti i magistrati, giudicanti e requirenti - Berlusconi nell'inchiesta escort, quella originaria di due anni fa a Bari, non avrebbe compiuto alcun reato ma, per dirla con le parole del suo legale, il deputato Niccolò Ghedini, «era l'utilizzatore finale». Proprio su questo punto si scontrano le diverse interpretazioni sull'induzione al falso. Per il gip di Bari, che sposa in pieno il Riesame di Napoli, il reato di induzione al falso si configura quando il teste Tarantini è indotto a fornire false dichiarazioni al giudice anche se le sue parole servono per nascondere aspetti non penalmente rilevanti. In sostanza, basta che dica il falso su induzione perché ci sia reato. Di visione opposta il procuratore aggiunto Drago, secondo cui il reato si concretizza quando l'induzione a dire il falso serve per coprire questioni penalmente rilevanti. E nell'indagine escort originaria Berlusconi non farebbe mai un favoreggiamento della prostituzione, ma risulterebbe essere solo cliente di prostitute.
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